Nella giornata di apertura dell’ottantunesima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ricordiamo il sessantesimo anniversario della presentazione, prima dell’uscita in sala, del capolavoro di Pier Paolo Pasolini Il Vangelo Secondo Matteo. Film che in quel lontano 1964 si aggiudicò il Leone d’Argento – Gran Premio della giuria (il Leone d’Oro andò a Deserto Rosso di Antonioni). Limpidissimo nella forma e toccante nel contenuto come nessun altro film sulla figura di Gesù, controverso nei giudizi della critica dell’epoca, sia quella specialistica come quella politicamente schierata, il Vangelo fu esplicitamente dedicato dall’autore alla “cara, lieta, familiare memoria di Giovanni XXIII”, come recita una didascalia alla fine dei titoli di testa.
Con quest’opera Pasolini, poeta e scrittore esordito tardi alla regia, senza preparazione specifica – già quarantaduenne e qui solamente al suo terzo lungometraggio –, riesce a cogliere il senso del sacro nelle vicende umane del Salvatore, dandone forma filmica con ammirevole misura di mezzi espressivi. Con scelta intelligente, riporta la vita di Gesù, come raccontata da San Matteo nel suo vangelo, senza aggiungere nulla alla filologia del testo biblico. Prospettiva che consente al regista friulano di rivelare la novità scandalosa, bella e profonda della parola di Gesù senza i consueti tratti retorici dell’iconografia tradizionale. Di coglierne l’autenticità lasciando ad ogni spettatore libertà di visione e interpretazione.
Pasolini, preoccupato di dare adeguata cornice alla “bellezza morale” – come lui stesso lo definiva – del messaggio evangelico, gira la versione filmica dei principali avvenimenti della vita di Gesù tra i sassi di Matera ed in altre raminghe località del Sud Italia (tra cui gli scabri paesaggi dei Calanchi del Marchesato, in Calabria; ed a Massafra, alle porte di Taranto). Mondi allora arcaici, ancora intatti, paesaggi lunari abitati da gente povera, umile. Scenario visuale che si fa quindi anche ideologico: l’intellettuale marxista Pasolini decide di ambientare la forza del messaggio cristiano tra l’orgogliosa desolazione gli ultimi. In tutto ciò la scelta delle musiche (il classico con estratti di Bach e Mozart, e il canto gospel americano) e la messa in scena delle sequenze chiave, che, come consuetudine del regista, richiama le composizioni della pittura cinquecentesca, contribuiscono a rendere il messaggio del Cristo, insito nei passi evangelici riportati dal film, terreno e sublime al tempo stesso.
Il Vangelo Secondo Matteo nasce dall’esigenza di Pasolini, sentita lungo tutta la sua opera – anche quella non cinematografica – di porre il proprio sentimento religioso a confronto con la sua coscienza storico-sociale di intellettuale comunista. L’idea di un film “sulla religione” compare nell’agenda del regista già dal 1962. Dopo aver vagliato diverse opzioni, tra le quali anche un film sulla vita di san Francesco, Pasolini si decide per la via più diretta alla parola del Cristo, cioè di mettere in scena interamente uno dei testi evangelici, segnatamente quello di Matteo, il più completo tra i tre sinottici. Ne risulta un film dove la figura di Gesù emerge scandalosa quanto autentica, filologica negli episodi come trasfigurata nel sacro nelle numerose scene senza dialogo, che si affidano alla drammaticità dell’immagine in sé. Quindi il poeta friulano risolve la diatriba suddetta (sentimento religioso vs. coscienza storica marxista) mostrando la umana passione religiosa di Cristo, che si indigna ferocemente per tutto ciò che è falso, che si prodiga per redimere i succubi della istituzionalizzazione farisaica della religione; un Cristo mite e violento che persegue il principale obiettivo di redimere tutti dal male del mondo, che predica quel “regno di Dio” cui si accede solo attraverso una rivoluzione interiore che comporti l’essere puri come bambini. Prospettiva, quest’ultima, tipica di tutta la poetica pasoliniana.
Secondo lo spirito di profonda umanità che permea il film, Pasolini sceglie di lavorare con attori non professionisti, tra cui spicca l’esordio del giovane attivista sindacale spagnolo Enrique Irazoqui, che impersona Gesù (doppiato da Enrico Maria Salerno). La madre del regista, Susanna, interpreta invece la Madonna da anziana, facendo storcere la bocca a molti osservatori; a conti fatti appare invece scelta azzeccata. Diversi gli amici scrittori coinvolti nel progetto, come ad esempio Natalia Ginzburg, che interpreta Maria di Betania. Da segnalare infine l’esordio di una dodicenne Paola Tedesco nei panni della perfida Salomè.
In definitiva, il risultato complessivo del film è veramente sublime. Un Pasolini ispiratissimo rende visibile l’invisibile col solo potere del Cinema, mostrando il divino ed il sacro scaturire dalle piccole cose quotidiane, dal paesaggio spoglio, dai volti scavati dei personaggi, dai gesti semplici, il tutto ammantato da una luce che pare venire direttamente da lassù, merito della magnifica fotografia in bianco e nero di Tonino Delli Colli, un maestro. Così Il Vangelo Secondo Matteo va ricordato, semplicemente, come il più bello ed emozionante film ad argomento religioso della storia del cinema.
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