E’ l’ora di investire

La campagna elettorale sul terreno della politica economica privilegia la redistribuzione fiscale a favore del consumo. Invece il sistema-Italia deve tornare a investire. GIANNI CREDIT

Il nocciolo della politica economica post-voto è racchiuso in una sequenza di tre cifre che sembrano una scommessa e sono una sfida: 20-60-20. Lo ha ricordato – sabato al Forex – un candidato molto speciale: il ministro dell’Economia, Piercarlo Padoan. “Il 20% delle imprese italiane è competitivo a livello globale; il 20% è in grossa difficoltà, il 60% può e deve essere aiutato a trovare o ritrovare un posto sul proprio mercato”. Davanti ad un pubblico di manager bancari e industriali Padoan avrebbe potuto – e forse voluto – aggiungere che alcuni imprenditori vanno “spinti”, o hanno bisogno di un supplemento di fiducia da parte del sistema creditizio. Comunque sia: la parola-chiave del momento è “investire”. Mettere in campo tutte le risorse per acquisire o generare tecnologie innovative, ma anche per formare “nuovi lavoratori” capaci di estrarre da “industria 4.0” tutta la produttività e la qualità manifatturiera necessarie nel ventunesimo secolo. Né va ignorata l’esigenza di stimolare tout court all’imprenditorialità, soprattutto quella di chi vuole avviare a 20 anni una sua iniziativa, ma senza dimenticare neppure chi deve/vuole re-inventarsi a 50.

Alla vigilia degli Stati Generali di Confindustria, il presidente Vincenzo Boccia è stato in ogni caso esplicito: “Non è il momento di redistribuire, la priorità resta generare Pil”. Gli industriali italiani – una fra le diverse “parti sociali” e comunità di operatori economici – nella seconda parte della legislatura hanno ottenuto dal centro-sinistra al governo più’ attenzione rispetto alla prima fase: quando, in particolare, il bonus famiglia di 80 euro ha connotato l’arrivo di Matteo Renzi a Palazzo Chigi. In campagna elettorale, comprensibilmente, il tema-redistribuzione ha ritrovato mordente: in modo trasversale agli schieramenti.

Il mantra “abbassare le tasse/aliquota unica” – sul sussidiario è stato notato più volte – da qualunque forza politica venga ripetuto corre sull’ambiguità fra stimoli al consumo delle famiglie e stimoli all’investimento delle imprese. E anche provvedimenti last-minute, come ad esempio il rinnovo dl contratto degli insegnanti pubblici, presentano evidenti contenuti redistributivi: soprattutto quando accantonano ogni ipotesi di utilizzo della leva retributiva per individuare il merito e quindi sollecitare la produttività, nell’education pubblica o altrove. Non si “investe” sull’infrastruttura-scuola (o sull’amministrazione centrale come risorsa per il sistema-Paese), ci limita ad aumentare gli stipendi a vaste categorie di dipendenti Pa.

La crisi dell’occupazione e quella del reddito disponibile delle famiglie (e quindi anche del gettito fiscale al netto dell’evasione) risentono della crisi degli investimenti (essenzialmente privati) e della produttività del lavoro. Senza imprenditori che investano in innovazione di processi e prodotti, tutti gli “addetti alla produzione” vedono frenata e assottigliata la loro capacità di creare valore aggiunto. E se gli investimenti pubblici in infrastrutture (ad esempio nella digitalizzazione della Pa) sono un puntello e un volano, il motore di un’Azienda-Paese come l’Italia è l’impresa privata e in particolare la manifattura.

L’ormai lontano 2010 è stato l’ultimo anno in cui gli investimenti complessivi del Sistema-Italia (poco più del 20% del Pil) hanno eguagliato la media Ue. Nel 2016 – ultimo dato pubblicato poche settimane fa dal Fmi – il gap negativo per l’italia si è allargato a 4 punti percentuali (un quinto in meno). Anche la produttività del lavoro italiano è un caso conclamato: fra il 1995 e il 2016 è cresciuta solo dello 0.3% medio all’anno, contro una media Ue di +1,6%. Probabilmente le statistiche 2017 segnaleranno l’inizio di un’inversione di tendenza, quando saranno incorporati i primi effetti degli incentivi di “Industria 4.0”. Incentivi all’investimento: “redistribuzione” di risorse pubbliche (limitate) verso le imprese e non – direttamente – verso le famiglie per il consumo. In campagna elettorale, certo, non sempre suona bene. Ma nel 2018 sono quasi dieci anni che suonano regolarmente male tutte le cifre macro.

Ti potrebbe interessare anche

Ultime notizie

Ben Tornato!

Accedi al tuo account

Create New Account!

Fill the forms bellow to register

Recupera la tua password

Inserisci il tuo nome utente o indirizzo email per reimpostare la password.