Qualche anno fa, precisamente nel 2008, un regolamento varato dall’Unione europea previde l’attribuzione di finanziamenti (complessivamente un miliardo di euro) destinati, nel triennio 2009-2011, all’eliminazione di 175mila ettari di vigneti. La scelta fu allora dettata, secondo Bruxelles, dalla presunta necessità di ristabilire, nel mercato del vino, l’equilibrio tra la domanda e l’offerta: un’indicazione a dir poco criminale!
Questa ragione indusse un gran numero di proprietari terrieri italiani a sradicare colture secolari per un pugno di incentivi stanziati dalle istituzioni comunitarie. Le stesse istituzioni che, negli ultimi anni, hanno continuato a elargire ingenti somme di denaro alla tutela degli alberi di ulivo, senza mai verificare che tali contributi fossero veramente destinati alla cura degli uliveti. Una circostanza (recentemente evidenziata sulle pagine del Financial Times dalla wine writer Jansin Robinson) che ha favorito la diffusione di una logica legata ai finanziamenti pubblici e allo sfruttamento di rendita.
Lo scorso giugno, sempre in nome delle misure europee, il Governo ha firmato un decreto applicativo per contrastare la diffusione della xylella tra gli ulivi pugliesi. Un problema che la Commissione, senza aver chiara l’origine dell’epidemia né il rimedio più appropriato, ritiene di risolvere con l’eradicazione di tutti gli alberi colpiti dal batterio. Una scelta demenziale quanto scellerata, incapace di ascoltare e verificare tutte le buone pratiche che, nel frattempo, in molti stanno mettendo in opera. Questa soluzione è stata contrastata sin da subito dal “popolo salentino”, che ha bloccato sia giuridicamente (con un ricorso al Tar) che fisicamente la decisione, scongiurando la dilapidazione di un patrimonio dell’umanità.
Nel mese di aprile, inoltre, l’organo esecutivo Ue ha improvvisamente sancito la fine dell’era delle “quote latte”. Un orientamento che, oltre a determinare una riduzione del prezzo e a incrementare gli esuberi produttivi, non preserva il lavoro svolto dagli allevatori delle nostre terre (chissà perché un grande “continente” come quello cinese prende latte fresco – ritenuto come manna dal cielo – Oltralpe e non da noi). Qui, infatti, viene prodotto latte di qualità ricavato da animali che si nutrono su pascoli naturali, a beneficio dell’ecosistema locale.
Il comparto tra l’altro è stato investito recentemente dalla richiesta, indirizzata all’Italia, di porre fine al divieto in materia di detenzione e di utilizzo di latte in polvere, concentrato e ricostruito per la produzione di prodotti caseari. Una posizione che, in nome di una presunta restrizione alla circolazione delle merci, rischia di sconfessare una legge del 1974 che ha sempre garantito l’arrivo sulle nostre tavole di formaggi di prim’ordine.
Alla luce di questi esempi, mi chiedo come la politica – a livello europeo, nazionale e locale – possa permettere, senza colpo ferire, la mortificazione delle migliori produzioni del Paese e del suo ecosistema. È una rotta che rinnega il lavoro svolto dai nostri agricoltori e artigiani, che trasformano la materia prima in modo naturale, senza forzature, rispettando l’ambiente.
Queste considerazioni mi inducono a ritenere che i più grandi nemici dell’Europa siano, oggi, gli euroburocrati e una consistente parte della classe politica di Bruxelles. L’Ue, infatti, nasce nel solco del riconoscimento delle reciproche diversità che, nel loro complesso, si ritrovano in una comunione di intenti e di obiettivi. Al contrario, in questo frangente storico, sembra che le differenze siano sacrificate in nome dell'”omologazione”. Del resto, quando si è smarrita profondamente la propria origine e quindi i propri ideali, l’unità politica si basa sui soprusi dei Paesi più potenti, delle lobby economiche e finanziarie.
Com’è possibile, dunque, creare gli Stati Uniti d’Europa senza la condivisione di un ideale comune? Gli euroburocrati e l’attuale classe politica europea sembra proprio che abbiano dimenticato o rinnegato i valori che hanno animato i padri fondatori Konrad Adenauer, Robert Schuman, Alcide De Gasperi. Se l’Europa non ritrova le sue radici e quindi una sua identità, sarà impossibile generare unità se non attraverso i soprusi esercitati dai più forti sui più deboli.
Occorre, a questo punto, introdurre un secondo tema: c’è bisogno di una resistenza contro i potenti e gli arroganti! Per contrastare il tentativo di favorire ogni forma di omologazione, è necessario sostenere una battaglia promossa da uomini liberi e creativi. Una sorta di “positivo brigantaggio moderno” che, grazie alla creazione di reti e di sistemi comuni, possa contrastare con forza le logiche speculative delle realtà industriali, della grande distribuzione e dell’alta finanza, che ricattano e mortificano i più piccoli in funzione del profitto.
Come introduce in modo drammatico l’enciclica di Papa Francesco, il crinale della grande crisi in cui ci troviamo ci impone di fare una scelta di fondo sul modello economico cui desideriamo dar seguito. Il Pontefice, su questo punto, non lascia margini di ambiguità: “Non ci si rende conto a sufficienza – scrive – di quali sono le radici più profonde degli squilibri attuali, che hanno a che vedere con l’orientamento, i fini, il senso e il contesto sociale della crescita tecnologica ed economica […]. Nessuno vuole tornare all’epoca delle caverne, però è indispensabile rallentare la marcia per guardare la realtà in un altro modo, raccogliere gli sviluppi positivi e sostenibili, e al tempo stesso recuperare i valori e i grandi fini distrutti da una sfrenatezza megalomane“.
Quanto all’economia, dovremo decidere se il suo scopo è il profitto o la realizzazione dell’uomo dentro un sistema, nel contesto che gli è dato. Su questo punto contano le azioni, non le intenzioni. Non c’è una terza strada: è molto più di un referendum pro o contro l’Europa. Si tratta di una scelta che inciderà nella vita di tutti noi.