La passione dell’io, la grazia di cambiare

In Bolivia papa Francesco ha parlato al II incontro mondiale dei Movimenti Popolari. Un discorso in cui è emerso il vero cuore del pontificato. Il commento di FEDERICO PICHETTO

E’ successo tutto l’altro ieri, nel grande viaggio di Papa Francesco in America Latina, durante l’incontro con quei Movimenti Popolari che il Pontefice aveva già ricevuto in Vaticano il 28 ottobre scorso. Bergoglio ha preparato per loro non un discorso di circostanza, bensì una vera e propria “lectio magistralis” e, in pochi minuti, il cuore di questo pontificato è emerso in tutta la sua forza e dirompenza, superando gli angusti stereotipi della mondanità ecclesiastica, delle divisioni interne, delle categorie sociologiche e politiche applicate al Corpo di Cristo che è la Chiesa. 

Francesco ha tracciato le linee guida del suo ministero, la spina dorsale del suo pensiero, donando a tutti gli uomini e le donne di buona volontà un documento di rara bellezza, un documento in qualche modo “definitivo” di questo papato e “su” questo papato. Il Papa parla di un mondo in guerra, segnato dal “genocidio” dei cristiani e da un sistema che — in qualche modo — è il padre di tutti i mali perché si poggia sull’idolatria più subdola, quella del denaro. La storia di questi secoli — sostiene Francesco — si scopre nella sua verità guardando alle sue ferite, avendo il coraggio di tenere negli occhi le sue povertà. 

Bergoglio non parla in astratto, non fa denunce populiste, ma si rivolge alle miserie e all’indigenza di ciascuno di noi. Chiunque, infatti, anche coloro che sembrano “passarsela bene”, non possono non fare i conti con la tristezza, col dolore, col male e col peccato che pervade la vita. Ciascuno di noi vive un disagio, un’inadeguatezza del cuore, e sente fremere dentro di sé la domanda di un cambiamento. Dopo anni di abnegazione o di amicizie inconsistenti, dinnanzi al dilagare della sofferenza e all’incalzare della vita, le solite risposte, i soliti discorsi, non reggono più. 

Ognuno di noi mendica un cambiamento. Questo cambiamento, però, non accade nella vita attraverso un “potere” nuovo, bensì attraverso una conversione, uno “sguardo” nuovo. Troppe volte, di fronte al bisogno che cresce dentro di noi, crediamo che la risposta sia nel potere. Chi è sposato, cerca la propria soddisfazione nel tornare ad essere libero, chi sente dolore cerca disperatamente di porre rimedio all’ingiustizia che lo ha generato, chi non ha terra e dignità persegue il potere come forma di purificazione e di vendetta. Anche i nuovi diritti, in fondo, non sono altro che l’esito estremo di questa mentalità che mendica dal potere la soddisfazione che il cuore attende. Il potere — e di conseguenza il denaro — ci illudono che occupando spazio, avendo a disposizione capricci e possibilità, il cuore si quieti e raggiunga definitivamente il proprio scopo. 

Bergoglio prende le distanze da questo meccanismo “marxista” che ha illuso i popoli dell’America Latina per più di un ventennio e mostra a tutti la potenza della “conversione”, il “potere dei senza potere”, di chi raccoglie cartone o coltiva i campi, di chi lavora in una fabbrica o fa il rigattiere: ciascuno, ovunque si trovi, può davvero cambiare le cose. Perché il cambiamento, la vera novità, è la liberazione del proprio Io, la conversione del nostro cuore. 

La nostra epoca ha bisogno della creatività, della forza e della passione di un Io salvato, di un Io convertito, di un Io trasformato. Non il potere curerà le nostre ferite, ma l’amore, e la disarmante corsa di un Padre che — dinnanzi alla morte del proprio Figlio — torna misteriosamente a dare la vita. Noi non siamo nel mondo per fare rivoluzioni o per prendere potere, ma per innescare e accompagnare processi, per essere — in ogni tempo e in ogni luogo — seminatori di cambiamento, fiaccole di conversione. Fu così, con la forza dello Spirito Santo, che un gruppo di pochi uomini provenienti da sperduti villaggi della Galilea cambiarono un Impero e lo immersero nella fede di Cristo. Quando la nostra vita urla è il nostro cuore che ha bisogno di essere amato. E dal nostro cuore tutto riparte. 

La libertà umana, allora, non consiste tanto in un’azione quanto in un ultimo riconoscimento. Il Papa, che non vuole dare alcuna ricetta definitiva, fissa però tre compiti ineludibili, tre riconoscimenti inevitabili. Anzitutto il riconoscimento dell’Altro, del Tu che è mio fratello e che nessun sistema può mai sfruttare per i propri scopi e i propri interessi. Una vita, un’economia, che non sa stare di fronte a un Tu è un’economia disumana, una vita imprigionata nelle bramosie del proprio Ego. L’altro è un bene. E questo vuol dire che non possiamo non riconoscerne tutta la positività fino al perdono, fino al mendicare noi stessi di essere perdonati. È questo che apre la strada alla riconciliazione, al vero amore alla terra che è ecologia, che è capacità continua di gratitudine per la nostra strada e la nostra storia. Gli uomini di domani, ci dice il Papa, non saranno mai dei semplici prodotti della nostra lotta, ma il frutto maturo di chi — come Maria — ha saputo trasformare una stalla in una culla piena di tenerezza, pronta ad accogliere l’Amore e la Misericordia di un Dio che ci ha amato a tal punto da venire a piangere e a vivere in mezzo a tutti noi.

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