I migranti che aiutarono l’Europa

E' scomparso lo scorso 7 maggio Nikita Struve, uno dei protagonisti del processo di integrazione di profughi ed emigrati e per l'avvicinamento con l'Occidente. GIOVANNA PARRAVICINI

Con la morte di Nikita Struve il 7 maggio scorso a Parigi, è scomparso uno degli ultimi rappresentanti di una generazione che ha svolto un lavoro immenso per contribuire — negli anni della cortina di ferro — alla reciproca conoscenza tra i mondi e le culture dell’Occidente e della Russia.

Il nonno, Petr Struve, economista e filosofo russo, era uno degli animatori di quella rinascita filosofico-religiosa che nella Russia d’inizio XX secolo superò le posizioni positiviste, marxiste, materialiste dominanti per riaffermare la necessità di un fondamento religioso per ogni coerente filosofia della vita.

Impegnato, come molti suoi coetanei e compagni di ideali, in una battaglia per il rinnovamento della società russa, venne sopraffatto dagli eventi rivoluzionari e dalla guerra civile e si ritrovò profugo, insieme alla moglie e ai cinque figli, in Europa. Furono anni durissimi, in cui centinaia di migliaia di persone che in Russia avevano una casa, un lavoro, una cerchia di amicizie, un contesto sociale — insomma una solidità di vita — si ritrovarono improvvisamente sradicate, guardate con sospetto, emarginate, costrette a vivere di espedienti. 

Oggi sappiamo che l’avventura ebbe un lieto fine, e che, anzi, l’innesto della cultura russa è stato straordinariamente fecondo per l’Europa, ma allora l’esito era tutt’altro che certo: erano invece molto reali i rischi di un rinchiudersi dell’emigrazione su se stessa, oppure di un suo polverizzarsi, dissolversi nel nuovo ambiente.

Non credo sia esagerato dire che Nikita Struve è stato uno dei protagonisti di questo processo di “integrazione”, che ha permesso a profughi ed emigrati di non sentirsi semplicemente degli ospiti indesiderati, ma di avere il coraggio e la libertà di proporre la propria esperienza, accogliendo nel contempo ciò che di meglio la cultura occidentale poteva loro offrire.

Dotato di un sano realismo e di un grande amore per la libertà, uniti a uno spiccato senso dell’umorismo, Nikita Struve si sentiva perfettamente a suo agio in Francia come in Russia: “Sono nato in Francia, in Russia ho messo piede solo a 60 anni. La Russia la amo così com’è, non nutro nessuna illusione, e non ne ho mai avute, dopo 70 anni di regime sovietico”. 

Il radicamento nella cultura russa viene dagli anni d’infanzia trascorsi nella libreria paterna; Aleksej Struve “come venditore non valeva molto, e alla fine il negozio fallì — raccontava Nikita —. La nostra non era tanto una libreria, quanto una specie di biblioteca privata. Io sono cresciuto in mezzo ai libri e in mezzo alle persone che venivano a comperare questi libri, a discuterne, e tra questi c’era molta gente interessantissima”. Segue un breve intervallo di insegnamento alla Sorbona, da cui però Nikita viene licenziato per aver documentato in maniera pacata ma molto precisa le repressioni antireligiose con il saggio Cristiani in URSS, uscito anche in Italia (Borla 1965). 

Questo libro resterà sempre per lui una delle cose più care e preziose, ma soprattutto lo aiuta a scoprire che il tesoro dell’esperienza di fede non è stato dilapidato in patria, continua ad esistere, e proprio per questo necessita di nuovi apporti, di essere sostenuto e alimentato. 

Per contribuire a questo processo Struve si trasforma nell’ideatore e coordinatore di un’ardita triangolazione con la Russia (al di là della cortina di ferro i suoi corrispondenti sono padre Aleksandr Men’ e Aleksandr Solženicyn), e con l’America (dove offrono un prezioso contributo padre Aleksandr Šmeman e padre Ioann Meyendorf). Al centro, il dialogo su una tradizione che per continuare a essere se stessa deve rinnovarsi creativamente, alimentandosi alle comuni sorgenti della fede cristiana. Struve e i suoi amici rivisitano la cultura russa e mondiale, attingono a tutto il patrimonio della tradizione europea, danno voce ad artisti, pensatori, scrittori, testimoni dei nostri giorni – senza complessi né restrizioni, siano ortodossi o cattolici, credenti o no, purché portatori di una domanda viva sull’uomo.

Strumenti principali di questo dialogo sono stati la rivista “Messaggero del Movimento Studentesco Cristiano Russo”, da lui diretta dal 1970, e l’editrice “YMCA Press” a Parigi, di cui ha assunto la direzione nel 1978. Per indicare i meriti di quest’ultima basterebbe ricordare la prima pubblicazione mondiale di Arcipelago GULag di Solženicyn, nel 1973.

“Molte cose le ho fatte rispondendo a esigenze interiori, e non semplicemente esterne. Ho sempre cercato di pubblicare quello di cui sentivo il bisogno”, ha detto più volte Struve, e tra queste cose occupa un posto di primo piano la poesia, di cui era un fine traduttore. 

Oltre ai grandi nomi della poesia russa, tra gli autori preferiti di Struve compare forse al primo posto Charles Péguy: di quest’ultimo, per festeggiare il suoi 75 anni, dieci anni fa Struve ha voluto pubblicare a Mosca, in collaborazione con Russia Cristiana, un’importante antologia. Perché la poesia, come la musica e l’arte figurativa — questa era una sua convinzione — ha un ineludibile aspetto di mistero che apre una finestra sul vero volto dell’uomo.

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