Israele come la Siria, vince il Papa?

Riuscirà Papa Francesco a portare la pace in Medio Oriente così come Giovanni Paolo II fece cadere il comunismo? Intanto, del suo "successo" in Siria non si parla più. ROBI RONZA

“Spero di firmare con questa penna l’accordo di pace con Israele”, ha detto il presidente dell’Autorità Palestinese, Abu Mazen, ricevendo ieri in dono da Papa Francesco una penna cerimoniale che riproduce in miniatura una delle colonne tortili dell’altare maggiore della basilica di San Pietro in Roma. Se ciò dovesse un giorno accadere sarebbe un fatto davvero denso di significati simbolici. Anche se infatti le due parti immediatamente in gioco in Palestina sono lo Stato Ebraico e l’Autorità Palestinese, voce di un popolo musulmano in larghissima maggioranza, la realtà cristiana pesa nella situazione ben al di là dei numeri. E pesa positivamente poiché la pace e lo sviluppo della regione stanno particolarmente a cuore del Papa, dei cattolici e di tutti i cristiani per i quali la Palestina è Terra Santa e Gerusalemme in quanto luogo della morte e risurrezione di Gesù Cristo è una città di valore unico.



Con la sua straordinaria forza comunicativa, tanto più forte in quanto frutto non di una tecnica bensì del felice incontro tra un’indole e una fede luminosa e profonda, Papa Francesco è riuscito di recente a promuovere una mobilitazione spirituale che infine ha prevalso sulla stessa volontà di Obama di lanciare un attacco militare contro la Siria. È un fatto cruciale del quale si è per lo più preso atto senza commenti. Risulta evidentemente così straordinario nella storia del nostro tempo che nemmeno i politologi più attenti e i commentatori più linguacciuti sanno dirne qualcosa. Forse soltanto in futuro gli storici si sentiranno più liberi di analizzarlo.



Anche sullo spunto dell’incontro avvenuto ieri, viene allora da domandarsi se questo sorprendente Pontefice riuscirà pure a dare una spinta altrettanto decisiva al processo di pace tra Israele e Palestina. Benché ovunque minoritarie, le comunità cristiane hanno per natura nel Vicino Oriente un primario ruolo di tramite, di mediazione e di animazione socio-culturale molto apprezzato da chiunque miri, malgrado ogni immediata difficoltà, al consolidamento nella regione di popoli “plurali” la cui definitiva lacerazione sarebbe una catastrofe per tutti. 

Per parte sua la Santa Sede dispone poi di una rete diplomatica che per molti aspetti è di una qualità senza paragoni. La pretesa degli Stati Uniti, iniziata con il presidente Clinton ma poi mai smentita dai suoi successori, di tenere la Santa Sede fuori dalla trattativa generale riguardo al problema israelo-palestinese, accettandone la presenza solo con riguardo allo questione di Gerusalemme (a sua volta degradata a problema “regionale”), è a mio avviso una causa non secondaria del vicolo cieco in cui ormai da anni si è andati a finire. Quella di Gerusalemme infatti non è affatto una questione regionale. 



È invece la questione-chiave. Se si arriva alla pace a Gerusalemme e su Gerusalemme, la pace si diffonde di conseguenza in tutta l’area. Come si fa tuttavia ad arrivarci tenendo fuori la Santa Sede e precludendosi i buoni uffici del Papa che, come tanti anni fa mi disse a Beirut una personalità araba, “tra i grandi della terra è l’unico che non abbia armi da vendere e petrolio da comprare”?

Tra l’altro già molti anni or sono la Santa Sede aveva proposto per Gerusalemme una formula interessante, quella dello statuto speciale internazionalmente garantito, che in certo modo si ispirava al caso italiano dell’Alto Adige/Süd Tirol. E che inoltre faceva tesoro dell’esperienza della città di Roma, che è appunto una doppia capitale essendo tanto sede del Papato quanto centro dello Stato italiano: una situazione complessa ma così ben regolata dalla prassi e da appositi trattati internazionali che oggi questa sua specificità unica al mondo viene vissuta senza attriti come un fatto normale. È un progetto che meriterebbe di venire ripreso in esame.

Come già Tucidide aveva colto con acutezza tanto più eccezionale per i suoi tempi,  la storia è l’esito di scontri tra forze. Questo è vero ma, diversamente però da quanto egli immaginava, sul campo di tali scontri non contano soltanto le forze materiali, economiche o militari che siano. Anche le forze spirituali possono giocarvi ruoli decisivi, come così bene si vide nel caso della fine del potere sovietico e del ruolo che vi ebbe Giovanni Paolo II. Perché dunque non sperare e pregare che ciò possa avvenire pure con Papa Francesco a riguardo della crisi israelo-palestinese?

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