È sorprendente la rapidità con cui le Regioni sono arrivate a mettere a punto le Linee guida sulla fecondazione eterologa. Una rapidità del tutto inedita in un paese che sperimenta quotidianamente la farraginosità di un’amministrazione pubblica lentissima nei suoi processi decisionali. Ma su questa materia evidentemente le idee erano già molto chiare, nonostante si trattasse di una materia non facile, che ha profondamente diviso le coscienze e l’opinione pubblica. E di una materia che oltretutto sta in un terreno di incertezza legislativa. Ma dopo la sentenza della Corte costituzionale del 9 aprile scorso che bocciava il divieto per l’eterologa previsto dalla legge 40, è partita una corsa per passare subito ai fatti. E i fatti sono quelli messi nero su bianco dalle Regioni, che hanno con facilità anche trovato la quadra sulla partita economica, stabilendo la gratuità con costi a carico delle strutture pubbliche (il costo oscilla dai 2500 a 3200 euro a trattamento).
Insomma la sensazione è che davvero una corsia preferenziale si sia spalancata, su pressione della gran parte dei media (sempre più servi idioti di un sistema che li sta affondando, ma questa è un’altra questione…), e in ossequio a quell’altro fattore di forza maggiore: i diritti individuali sono infatti dei potenti attivatori di business. Non a caso le logiche mercantili sono davvero affiorate, se nelle Linee Guida è stato necessario puntualizzare che non si possono «scegliere particolari caratteristiche fenotipiche del donatore al fine di evitare illegittime selezioni eugenetiche». Inoltre ad avvalersi di questa apertura saranno soprattutto i centri privati, che subito hanno fatto sentire la loro voce, chiedendo che venga tolto il limite dei 43 anni per le donne che fanno richiesta di fecondazione eterologa.
Insomma, quando scende in campo questa alleanza tra diritti individuali e mercato, non ce ne è per nessuno, nemmeno per quel “burosauro” che è la macchina ammistrativa italiana.
Reagendo a questa decisione, senza per altro alzare barricate, ieri monsignor Nunzio Galantino poneva una questione importante: «Mi preoccupa la certezza con cui si decide che esistano motivazioni diverse in chi chiede l’eterologa e chi invece l’adozione». Il riferimento è a una situazione che diversamente dalla fecondazione artificale non ha molti diritti di cronaca: ed è la situazione che riguarda le coppie che scelgono la strada dell’adozione.
La loro è una strada tutta e sempre in salita; e per loro la macchina amministrativa torna a rivestire in pieno il ruolo di macchina delle complicazioni. Il risultato sta nei numeri che in un paese civile (e con un residuo di senso della realtà) dovrebbero allarmare assai più delle problematiche relative alla fecondazione artificiale. In un anno le coppie che fanno richiesta di idoneità sono crollate del 32%.
La ragione sta nella lentezza, nella difficoltà e nell’incertezza delle procedure e nei costi (altro che gratuità…). Il risultato è nei numeri: dai 4.130 bambini del 2010 si è scesi ai 2.825 adottati lo scorso anno e saranno sempre meno negli anni a venire.
La neopresidente della Commissione adozioni internazionali, Silvia Della Monica, nella sua prima intervista aVita.it ha sottolineato che «occorre intervenire semplificando la materia delle adozioni, per assicurare i diritti dei minori ad una famiglia in tempi brevi». Parole che se analizzate confermano l’analisi fatta sin qui. Nell’adozione c’è in gioco un “diritto”, ma a quanto pare non gode di “buon mercato”, per questo nessuno si preoccupa che abbia tempi lunghi. È il diritto dei bambini ad avere una famiglia (e non quello, molto discutibile, di una famiglia ad avere un bambino: sarebbe umanamente più corretto parlare quanto meno di “desiderio”…).