Ho trovato interessante sul tema della giustizia in Italia il libro “Io non posso tacere. Confessione di un giudice di sinistra” edito da Einaudi. L’autore è Piero Tony, un ex magistrato andato in pensione prima del termine per “dire basta” a una magistratura che non riconosceva più come sua ed essere “libero di parlare di una quarantacinquennale sensazione di girare quasi a vuoto, comune alla stragrande maggioranza dei colleghi”.
Nel volume vengono esaminate, in termini critici, le prassi e le norme legate al processo penale in voga nella cosiddetta Seconda Repubblica, da Tangentopoli in poi. Merita soffermarsi su alcuni temi qui menzionati, non prima però di aver posto una premessa, non contenuta nel libro, ma necessaria per ricostruire la verità storica. I problemi della giustizia italiana non nascono con Tangentopoli: processi a dir poco scandalosi hanno popolato abbondantemente anche la Prima Repubblica. Ne ricordo uno per tutti: il processo del 1954 per il quale Giovannino Guareschi rimase in galera per 13 mesi, in seguito alla querela dell’allora Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi inerente la pubblicazione sul “Candido” di presunte lettere su carta intestata del Vaticano che il leader democristiano avrebbe scritto alle forze alleate per chiedere il bombardamento della periferia di Roma.
Senza voler mettere in discussione la figura dello statista trentino, di fatto, a riguardare dopo 60 anni le cronache del processo, sorprende la faziosità, la mancanza di tutela del diritto alla difesa, l’omissione circa l’assunzione delle prove con cui il processo “politico” fu celebrato. Non fu neanche tenuto conto dell’opinione di un perito calligrafico del Tribunale di Milano che ritenne le lettere vere e si arrivò alla sentenza non in base ai fatti, ma in nome, come disse il PM, “del luminoso alibi morale dell’onorevole De Gasperi”. E, per sottolineare l’analogia con le polemiche odierne, non mancò il ruolo di una stampa che ritenere di regime è poco: giornali a orientamento cattolico e comunista (ma non solo) scrissero ogni tipo di faziosità e l’organo ufficiale dell’Azione Cattolica mise la foto di uno scarafaggio morto in copertina con scritto “Guareschi”.
E’ quindi sbagliato ritenere che i problemi di indipendenza della giustizia in Italia siano solo contemporanei. Tuttavia, risulta interessante la disanima del’ex magistrato Tony quando afferma che, ai giorni nostri, a partire dal terrorismo, è andato in crisi il rapporto tra politica e giustizia. Oggi è “accettabile, quasi naturale”, scrive Tony, che “un magistrato venga inteso come se fosse non il custode della legalità, ma il custode delle buone prassi, del benessere e del progresso sociale: addirittura della moralità”. Sono nate correnti della magistratura che, sempre secondo Tony (iscritto per lungo tempo a Magistratura Democratica), non sono più solo orientamenti culturali, come dovevano essere secondo la legge, ma tali che “non si può proprio dire che siano lontane dalla compromissione politica”.
Prevale “l’interpretazione evolutiva della Costituzione”, che sarebbe affidata per legge alla Corte Costituzionale e alla Corte dei diritti dell’uomo. Il singolo giudice, così “abbandona l’interpretazione formalistica di una norma ‘che può essere indifferente al contenuto e all’incidenza concreta della norma nella vita del Paese’, e la interpreta invece secondo le finalità fondamentali volute dalla Costituzione… valutate, naturalmente, in base alle sue convinzioni personali”.
Altro aspetto che riempie di domande, leggendo il libro, sono le considerazioni sul varo del nuovo codice di procedura penale del 1989: “il dibattimento sarebbe dovuto divenire il cuore del nuovo processo garantista, caratterizzato sia da un’indagine preliminare (ad opera della Procura) finalizzata esclusivamente alle determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale (articolo 326 c.p.p.), sia dall’acquisizione delle prove praticabile esclusivamente davanti al giudicante nella concentrata, pubblica e garantita dialettica dibattimentale” (cioè nel contradditorio di tutte le parti, avvocati difensori e pubblica accusa e in “un’udienza garantita dall’essere pubblica”).
Le modalità secondo cui sono condotte le indagini preliminari, l’uso delle misure cautelari con massima discrezionalità, ben al di là delle tre esigenze codificate per cui sono ammissibili, l’annessa confusione tra indizi e prove, la mancanza di vera terzietà del giudice, l’utilizzo abnorme delle intercettazioni, la collusione con i media anche, a volte, per scopi pubblicitari e di pressione indebita, il concetto di concorso esterno, l’uso “spesso approssimativo” dei pentiti, la priorità data a un certo tipo di indagini rispetto ad altre, sono solo alcune delle molte ragioni, elencate dall’ex magistrato, per cui “il processo inquisitorio uscito dalla porta nel 1989 rientra dalla finestra”.
Per questo, come afferma un grande magistrato citato nel libro, Dante Troisi, “nella nostra giustizia, si sospetta più che si prova. Si minaccia più che si punisce. Si incrimina più che si giudica”. Tony connette questi problemi a un tema spesso di attualità negli ultimi anni, la separazione delle carriere e le difficoltà nell’autogoverno del CSM sulle infrazioni disciplinari dei giudici stessi. “Ho fatto per una vita sia il requirente sia il giudicante, e posso dire che oggi, per come è strutturato il nostro sistema, le parti non sono in nessun modo uguali di fronte al giudicante non per questioni di dolo, ma semplicemente naturali: il giudice e il pm sono colleghi a tutti gli effetti e nel quotidiano lavorano negli stessi uffici, sovente fianco a fianco, spesso pranzano insieme”. Sempre secondo Tony aveva ragione Giovanni Falcone quando diceva: “Il pm non deve avere alcun tipo di parentela con il giudice e non deve essere, come invece è oggi una specie di paragiudice”.
Temi scabrosi quelli sollevati dall’ex magistrato, che si infrangono di fronte alla mancanza di ragioni delle opposte fazioni: gli uni scandalizzati solo del fatto che si possa parlare di tali argomenti, come se il farlo mettesse in discussione qualcosa di intoccabile a priori; gli altri mossi a parlarne per affermare che “l’arbitro è venduto” e coprire le proprie malefatte. Da qui il suo auspicio: che temi quali “protagonismo, giustizialismo, politicismo, lentezza, mancanza di indipendenza” vengano “ripresi benevolmente, ma costruttivamente criticati, a voce ben alta, per far riemergere la preziosa cultura del nostro mondo”. Se non lo si fa, conclude Tony, “è la gente a pagarne le conseguenze, ogni giorno di più”.