Elezioni in Francia, il populismo ha già vinto?

Anche la Francia ha visto frantumarsi il sistema bipolarista che l'ha retta fino a oggi. Il rischio di un presidente populista e di estrema destra è concreto. SALVATORE ABRUZZESE

Quarant’anni fa il leader del Front National, Jean-Marie Le Pen, era una figura politica di colore. Dileggiato dai media e dalla satira televisiva, il robusto leader conservatore occupava saldamente la leadership di una destra tradizionalista radicale, ribelle e refrattaria. Dinanzi a questi e in funzione di sbarramento si ergeva un centro-destra di governo, profondamente inserito nelle istituzioni e stabilmente insediato nelle amministrazioni locali. 

In quella Francia in crescita, ogni leadership di governo coabitava con l’opposizione moderata, ed ogni presidente della repubblica amava lasciare dietro sé un’opera faraonica a futura memoria. Così se Georges Pompidou consegnava ai posteri il suo Centre Beaubourg a poche centinaia di metri dalla tour Saint-Jacques, François Mitterrand dava il suo nome ad una monumentale biblioteca nazionale che ancora si fregia del titolo, non molto modesto in verità, di “mémoire du monde”. Lo scarso spazio per delle opposizioni radicali, a destra come a sinistra, era la conseguenza dell’insediamento di un tale centro moderato sul trono di una Francia in costante crescita ed era alla base di un consenso stabile attraverso il quale si consolidava la “democrazia dell’alternanza”.

Questo mondo è scomparso da tempo e al posto dell’anziano Jean-Marie Le Pen la figlia Marine non suscita più battute di spirito ma preoccupazioni esplicite. Non mancano le dichiarazioni di chi vi vede una seria minaccia per quella stessa democrazia dell’alternanza. L’ingresso di un soggetto politico inedito che già da tempo preme alle porte della Camera dei Deputati vi imprimerebbe una svolta certamente consistente.

Dietro la straordinaria progressione del Front National preme una Francia profondamente trasformata, che condivide poco o nulla di quella che abitualmente presenzia ancora lo scenario mediatico. La crisi economica che si sta infatti affermando è componente essenziale di una frattura che è geografica e culturale al tempo stesso. Nella Francia della provincia si è insediato l’universo operaio che ha abbandonato le grandi metropoli e, con queste, un intero progetto di mobilità sociale. Al posto di un tale universo, nelle grandi aree metropolitane del Paese, si è andato progressivamente concentrando sia il terziario avanzato, sia la popolazione immigrata. Questa ha trovato nell’ambito della mano d’opera meno qualificata e nei servizi domestici alle famiglie uno sbocco lavorativo precario ma sufficiente alla sopravvivenza, sostenuta peraltro da un ancora efficace sistema di assistenza. 

Tuttavia questi due insiemi sociali che convivono dentro le stesse aree metropolitane non condividono affatto lo stesso progetto sociale. Nella misura in cui i compiti marginali e inevitabilmente precari assolti dalle nuove ondate immigratorie sono insufficienti a produrre quell’inclusione sociale oggi più necessaria che mai e i processi di inserimento sostanziale richiedono il possesso di competenze sempre più qualificate, la frattura interna ai grandi perimetri urbani è votata ad aggravarsi.

Ma anche l’insistenza con la quale l’élite politico-culturale, nella larga maggioranza dei suoi rappresentanti più eminenti e attraverso il proprio potere sui media, insiste nel lodare i benefici della mondializzazione e del multiculturalismo, finisce con il produrre, accanto al suo isolamento geografico nelle metropoli urbane, anche un isolamento culturale dal resto della nazione. 

È proprio l’universo operaio e quello del piccolo terziario che, registrando le conseguenze più gravi della globalizzazione, non solo si sono allontanati dalle grandi aree metropolitane ma si sono anche separati dal discorso culturale che l’élite politica metropolitana insiste nel proporre. Nulla appare più lontano dall’esperienza di un universo operaio che ha sperimentato gli effetti della crisi, dell’immagine di un futuro felice che i difensori del nuovo quadro economico costantemente ripresentano.  

In questa Francia a tre poli, divisa tra una élite terziaria insediata nei centri delle metropoli, un universo operaio e artigiano relegato nelle diverse province ed una realtà di immigrazione insediata nelle banlieues metropolitane, la leadership socialista ha creduto di poter bilanciare l’inevitabile sconfitta sul piano dei progetti di inclusione sociale, investendo sul recupero dell’identità culturale. Da qui il ricorso alla carta della laicità repubblicana, non più intesa come cornice istituzionale nella quale assicurare le diverse culture e le diverse sensibilità religiose, ma come orizzonte normativo sul quale orientare le politiche educative e le nuove geometrie familiari. In pratica ha cercato di recuperare, sul piano delle norme e dei valori, quella credibilità che ha perso sul piano dei progetti di inclusione sociale. 

Il successo di Marine Le Pen ha origine proprio da una tale frattura. L’allontanamento geografico e quello culturale dell’universo popolare, sommati alla crisi ed al senso di insicurezza crescente, alimentano una ricerca di rappresentanze autorevoli, ma anche sufficientemente lontane da quella stessa coincidenza istituzionale che ha costituito per decenni l’essenza del centro-destra. Paradossalmente è proprio l’esclusione di Marine Le Pen da qualsiasi presenza dentro l’establishment politico-culturale a costituire la sua vera chance di successo. 

Dopo lo choc della Brexit e quello, ancora più eclatante, di Donald Trump, sarà la Francia a dare la terza sorpresa sancendo, anche in Europa, il declino definitivo di un’epoca? Ovviamente non è possibile dirlo in quanto, come avviene in tutte le competizioni democratiche, l’opinione pubblica è fortemente esposta alle strategie mediatiche che i diversi attori sceglieranno di giocare nei prossimi giorni e quelle politiche che prenderanno forma nella settimana del ballottaggio. Tuttavia, qualunque sia il risultato che uscirà dalle urne, esso dovrà comunque fare i conti con un paese da recuperare intorno ad un progetto di crescita nel quale dovrà riunirsi e crederci.

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