Primo di maggio. Comincia il mese della Madonna e vorrei offrire ai lettori un regalo consono alla circostanza. È un inno a Maria composto da Giorgio Warda, autore vissuto a cavallo tra il XII e il XIII secolo (come il nostro san Francesco) nella città che oggi chiamiamo Erbil, a pochi chilometri da Mosul; territori dove il cristianesimo ha vissuto fiorente fin dai primordi. I nomi di queste città – nel nord dell’Iraq – ora li conosciamo per la feroce guerra che da anni vi si sta combattendo. Anche la vita di Warda è stata segnata da guerre (la conquista di Gerusalemme da parte del Saladino), e distruzioni (la devastante invasione dei mongoli). Warda significa “rosa” ed è il titolo dato alla raccolta dei suoi inni. Ecco dunque, dedicata a Maria del mese di maggio, una rosa sorta in un terreno bagnato di sangue e di lacrime; allora come ora.
Se Maria la chiamassi terra, io sarei ritenuto uno stolto riguardo a lei: io so che non c’è nulla di simile a lei e nulla le è comparabile sulla terra.
Dalla terra è stato generato Adamo e alla terra è ritornato Adamo; da Maria invece è stato generato il Signore di Adamo, che nel suo amore divenne figlio di Adamo.
Adamo, che viene dalla polvere, morì; e con lui perì la sua razza; invece, il figlio di Adamo, che viene da Maria, rialzò l’intera nostra polvere.
La potrei forse assomigliare al giardino da cui, come è detto nel racconto della creazione, sgorgano i quattro fiumi in direzione delle quattro parti della terra?
Ma la sorgente che sgorgava di là, non ha mai salvato nessuno dalla morte; e l’albero della vita che vi è piantato, non c’è nessuno che sappia com’è fatto.
Da Maria, invece, è sgorgata una sorgente ed è stata annunciata da quattro bocche [i vangeli]; di essa si è inebriata tutta la terra e l’ha ricompensata lodando il suo nome.
Lei è l’albero dello stupore che ha prodotto il frutto dello stupore: la creazione intera stupisce di lei e la magnifica davanti a tutti.
Lei è l’arca di carne in cui trovò riposo il vero Noè, che preserva la nostra natura dall’inondazione del nemico.
Lei è la figlia di Abramo, che Abramo vide in mistero quando lei portava il figlio di Abramo, che è il Signore di Abramo.
Lei è la roccia senza fenditure da cui sgorgò una sorgente, e i popoli, ciechi per l’ignoranza, furono arricchiti di ogni conoscenza.
Lei è il roveto del prodigio in cui abitò la fiamma; in lei abitò il fuoco bruciante per tre mesi più sei.
Portava nel suo grembo il fuoco e lo esaltava nella propria dimora: lo Spirito aleggiava nella sua anima e tutta intera divenne davvero un cielo.
Non rimproverarmi, o lettore, perché l’ho paragonata al cielo: infatti, io la ritengo essere nobile, eccelsa ed elevata più del cielo.
(Il brano è tratto da Maria. Testi teologici e spirituali dal I al XX secolo, Mondadori, Milano 2000, pp. 444-445).