Lo scandalo Facebook ci ha mostrato che per il Potere siamo carne da consenso. Il fenomeno è planetario. Mezzo mondo è connesso a internet: 4 miliardi, pari al 53 per cento della popolazione del globo; 3,2 miliardi sono sui social (42 per cento), soprattutto su Facebook (2,2 mld) e Youtube (1,5 mld). Tre quarti degli italiani usano il web (43,3 milioni su 60), 34 milioni (57 per cento) frequentano i social anche più volte al giorno.
I nuovi padroni del vapore sono poteri sovranazionali. Il che non tranquillizza. Frequentando il web lasciamo una scia impressionante di informazioni su noi stessi cosicché, ormai lo sappiamo tutti, possiamo essere spiati, profilati e fatti oggetto della Grande Persuasione commerciale e politica. Diversi pregevoli articoli sul sussidiario hanno già ben esplorato i meccanismi di intrusione nella privacy e il problema della tutela della sfera personale e della libertà degli individui. Qui ci chiediamo: e noi utenti? che ci stiamo a fare sui social, che cosa vi cerchiamo e con quali aspettative? In media siamo attivi su Facebook 35 minuti al giorno (stando connessi per quasi 2 ore), pari — in limine mortis — a poco meno di due anni di vita, il doppio di quanto dedichiamo alla cura di noi stessi e alle relazioni sociali. Il 43 per cento di noi posta foto e il 26 per cento fa sapere urbi et orbi dov’è e cosa sta facendo; il 25 per cento esprime opinioni. I like non si contano (ma li contano i venditori di dati) e i cosiddetti amici sono talvolta figurine Panini di vattelapesca.
Recenti indagini ci dicono che nell’84 per cento dei casi vogliamo sostenere una causa, nel 69 per cento sentirci parte di una comunità. Nella prima motivazione, il mio io, ingranaggino da niente della gran macchina globale, ha bisogno di sapere di esistere, di contare e di valere qualcosa: e dunque pòsto ergo sum. L’altra motivazione nasce dal fatto che nella solitudine metropolitana, al mio io non basta l’aggregazione anonima e casuale del centro commerciale e nemmeno la compagnia di un cane pur così affettuoso, ma così affettuoso che, guardi… gli manca la parola.
Il mondo incarnale in cui il social ci immerge accelera e amplifica le nostre movenze interiori, mentre abbassa la soglia dei freni inibitori e della responsabile cautela personale, e sospinge la nostra aspettativa in direzioni diverse, alternative, più o meno plausibili e più o meno deviate.
Per esempio: condivisione o esibizione. Nelle foto postate possiamo notare l’impulso a condividere l’emozione di un paesaggio mozzafiato che ci fa dire “com’è bello il mondo”, ovvero il bisogno di esibire ai noti e agli ignoti l’ultima abbronzatura, il bikini nuovo, le unghie dei piedi vermiglie di smalto fresco sullo sfondo di una incolpevole e stranita distesa marina. Da spettatori di lungo corso del Grande Fratello, Isola dei famosi, Amici, C’è posta per te, ecc., dove la vita viene recitata per essere spiata e partecipata dal buco della serratura, hai visto mai che non ci punga vaghezza d’essere anche noi protagonisti che si fanno sbirciare? Esibizione per avere riconoscimento e approvazione. Impensabile e inaudito senza social.
Ancora: dialogo o guerra santa. Possiamo esprimere opinioni cercando un confronto minimamente argomentato e tollerante se non proprio desideroso di conoscere l’altro in campo aperto; ovvero asserragliarci nel fortino autoreferenziale ed aggressivo di chi la pensa accanitamente come te.
Qui l’alternativa è tra socialità e tribalismo, tra comunità e cosca, tra appartenenza e affiliazione.
In ogni caso, abbiamo l’occasione di renderci conto di quale immenso e delicato bisogno abbiamo di essere riconosciuti e voluti; e di essere accolti in una compagnia. Di essere totalmente voluti e totalmente accolti. E’ in fondo il desiderio di cui siamo a cui solo un infinito è soddisfacente risposta.
Occhio a non svenderlo, questo desiderio, a non lasciarlo deviare lungo mendaci scorciatoie virtuali.
E’ un guaio farsi fregare i propri dati dal Grande Fratello. Ma assai peggio sarebbe farsi fregare il desiderio.