Aborto e diritti, la nuova “battaglia” senza politica

In Spagna il Governo di Rajoy ha fatto retromarcia: il progetto di legge per cambiare la regolamentazione dell’aborto è stato accantonato. Il commento di FERNANDO DE HARO

È stata una sconfitta politica. I fatti sono noti a tutti. Rajoy, quando era all’opposizione, aveva presentato ricorso alla Corte Costituzionale contro la legge sull’aborto di Zapatero. Nel suo programma elettorale, il leader del Partido popular si era impegnato quindi a cambiarla. In effetti, l’esecutivo di centrodestra, tuttora in carica, aveva approvato, grazie al lavoro del ministro della Giustizia Ruiz Gallardón, un progetto di legge con una regolamentazione dei termini per ricorrere all’aborto più che ragionevole, visti i tempi che viviamo: in sintonia con la giurisprudenza costituzionale, senza colpevolizzare le donne e aiutandole a essere madri. La destra, però, ha avuto paura di perdere voti e così ha deciso di buttare nel cestino il progetto di legge. Gallardón, uno dei migliori politici spagnoli, si è quindi dimesso.

I leader sociali e politici che si erano impegnati per cambiare la legge hanno espresso tutta la loro amarezza. Ed è logico che si così. La nuova legge, infatti, avrebbe avuto il sostegno di un’ampia maggioranza parlamentare e della dottrina costituzionale. Avrebbe aiutato a difendere meglio la vita. È quindi comprensibile una certa delusione nei confronti del partito di Governo. Meno comprensibili sono altre reazioni, come quelle di chi continua a sognare un partito cattolico e che lancia anatemi in tutte le direzioni.

La frustrazione e la delusione sono un ottimo invito per andare al fondo della questione. Ci sarà senza dubbio tempo per trarre le conseguenze politiche della decisione del Governo. Ma l’insuccesso non è l’unico fattore e forse nemmeno quello più determinante. Il cambiamento della legge era stato sostenuto nelle strade, nelle università e negli ambiti lavorativi da un grande movimento sociale che non si identifica con il Pp. Tale movimento, senza alcuna posizione ideologica, è andato incontro alle persone nella scuola, nell’università, nell’ambiente di lavoro – in alcuni casi con grandi rischi personali – per spiegare sul terreno dell’esperienza le ragioni che permettono di non considerare una gravidanza indesiderata come un ostacolo alla felicità.

La fecondità di questa forma di presenza è stata evidente e ha indicato un cammino per il futuro. Si sono abbattute barriere e molte donne si sono sentite accompagnate. Questa è la battaglia decisiva: quella per l’umano. La politica è importante, molto importante, ma sarà sempre sussidiaria e sarà sempre in funzione del cambiamento che si produce dal basso.

La frustrazione si dissipa quando si guarda con più attenzione: è evidente che né in Spagna, né in Europa, esiste un soggetto politico che si impegni nella difesa di ciò che è evidente a tutti come uno dei valori fondamentali della tradizione occidentale. E non c’è un soggetto politico perché non c’è un soggetto sociale consistente. Si è compiuta la profezia fatta da Guardini negli anni ‘50. Nell’immediato dopoguerra si era diffuso un grande ottimismo, perché si pensava che i grandi valori condivisi dall’illuminismo laico e dal cristianesimo – che alcuni definivano come diritto naturale – sarebbero rimasti in piedi da sé. Ora, a 65 anni di distanza, è chiaro chi si è chiusa un’epoca. «Queste ambiguità – scrisse Guardini ne “La fine dell’epoca moderna” – verranno a cessare. Si considereranno sentimentalismi i valori cristiani secolarizzati, e l’atmosfera ne risulterà purificata. Piena di ostilità e di pericolo, ma pulita e aperta».

Sotto questa atmosfera “pulita e aperta” di cui parlava Guardini, si rende evidente la situazione del tempo presente. L’umano non è scomparso, il cuore continua a battere, ma è oscurato. Per questo non può essere risvegliato dall’alto, con un progetto. Occorre un incontro, faccia a faccia. Sembra poco, sembra un metodo “astorico”, ma è il più storico di tutti; è quello che rende possibile un vero cambiamento. Le organizzazioni o le istituzioni non servono se non sono in funzione dell’io, della persona (che è sempre parte di una comunità). La persona è l’unica istanza che genera autentica novità.

La mentalità non è più cristiana e i valori nati dal cristianesimo hanno smesso di essere evidenti per tutti. Occorre quindi tornare al principio, vivere con la certezza di alcune poche grandi cose recuperate nell’esperienza: il valore concreto della fede, la possibilità dell’incontro con chiunque, l’importanza dell’altro. Ciò non significa in alcun modo rinunciare a una presenza sociale; anzi, si tratta di rendere questa presenza qualcosa di sistematico, non circoscritta solamente a certe questioni.

Sotto questo nuovo cielo limpido l’avventura di scoprire come rinasce l’umano si fa più interessante. Nessuna nostalgia, nessun risentimento, nessuna amarezza. Ci aspetta il dolce sapore di continuare a costruire. 

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