Qualche giorno fa, nella colonna destra del sito del Corriere della Sera… Un mio amico la chiama “colonnina morbosa” e ha ragione perché è lo spazio dove usualmente si trovano video che titillano i nostri interessi più superficiali (la curiosità per le stranezze), ma anche quelli meno nobili, normalmente legati al sesso e alla violenza. Su quella colonna, dunque, qualche giorno fa c’era il simpatico video di una bambina di 3-4 anni; sta passeggiando sul vialetto che costeggia un prato e, all’improvviso, si accorge della propria ombra. Per qualche secondo guarda diritto in camera (evidentemente il papà o la mamma che la sta riprendendo) con sguardo interrogativo ed anche un po’ allarmato, poi decide che quella cosa scura non va bene e cerca in modi anche buffi di cacciarla via, ovviamente senza riuscirci.
La nostra ombra ci segue sempre (se c’è il sole, ovviamente) e, pensandoci bene, abbiamo qualche motivo per esserne, come la bambina del video, indispettiti: quella macchia nera sembra uscire da noi stessi come se dentro avessimo un lato oscuro, ci fosse il buio di un male che la luce del sole estrae dall’interno e ci costringe a considerare. Togliamo pure il “come se”: benché sia normale e apparentemente conveniente incolpare di tutto il male che c’è gli altri, la società, la politica eccetera, sappiamo benissimo che anche il nostro buio interiore è il terreno infetto da cui si produce all’esterno quello che chiamiamo “male”. Lo sappiamo e vogliamo dimenticarcene: come la bambina cerchiamo di scacciare la nostra ombra.
Ma non c’è corpo umano senz’ombra. I penitenti del purgatorio dantesco, che hanno un corpo capace di soffrire ma costituito di materia eterea, trasparente, riconoscono stupefatti che Dante è vivo proprio dal fatto che i raggi del sole non possono attraversare il suo corpo e quindi stampano sul terreno la sua ombra. I beati del paradiso, invece, sono delle luci, che attendono ansiosamente il giorno in cui la loro anima potrà rivestire di nuovo il suo proprio corpo, glorioso, e quindi la loro persona recuperare l’interezza originaria. Con questi rimandi danteschi voglio semplicemente dire che nella visione cristiana l’umano concreto è anche la pesantezza del corpo che fa ombra e del quale – come diciamo nel Credo – aspettiamo la resurrezione. Per molte religioni, invece, di noi rimarrà nell’oltretomba proprio solo l’ombra: inconsistente parvenza, vago simulacro, triste fantasma della vita vera che si è spenta con la morte del corpo e non si ricostruirà mai più.
L’ombra però ha anche un possibile lato positivo. Lo mostra un curioso episodio che leggiamo in questi giorni nel libro degli Atti degli Apostoli; tanto grande era la fiducia che gli abitanti di Gerusalemme attribuivano ai seguaci di Gesù che “portavano gli ammalati persino nelle piazze, ponendoli su lettucci e barelle. Perché, quando Pietro passava, almeno la sua ombra coprisse qualcuno… e tutti venivano guariti”. Sembrerebbe che al discepolo di Cristo sia concesso, per grazia, di trasfigurare quello che di buio c’è in lui (e che l’ombra proietta al di fuori) in benefico strumento di guarigione, sia concesso di diventare come un albero fronzuto la cui ombra dona refrigerio nell’afa opprimente delle tante giornate torride della vita.