Nella drammatica giornata di ieri, ad un certo punto seguendo il susseguirsi delle notizia su internet abbiamo letto questo annuncio: “Segnaliamo il grande numero di donatori di sangue che in queste ore si stanno recando presso il centro emotrasfusionale di Andria. Dall’Avis parte l’appello di non recarsi più oggi a effettuare donazioni, che potranno comunque essere fatte nei prossimi giorni”.
Il riferimento ovviamente è allo scontro tra i due treni sulla linea a binario unico tra Andria e Corato che ha causato decine di morti. Può sembrare retorico richiamare questa reazione di generosità di fronte ad una simile emergenza che colpisce una comunità locale; in realtà non lo è. Sappiamo che in Italia la donazione di sangue è regolata secondo un modello che non conosce uguali al mondo: completa gratuità da parte di chi dona e raccolta affidata a organizzazioni non profit, di cui l’Avis è certamente la più grande e quella più strutturata, con il suo straordinario radicamento territoriale.
Ma la reazione all’incidente di Andria sottolinea un altro aspetto: da un po’ di tempo in qua assistiamo al ripetersi di un fenomeno che colpisce. C’è stata infatti una lunga stagione della nostra storia recente in cui davanti a fatti drammatici la reazione prevalente delle persone era all’impronta della rabbia e dalle pretesa (spesso legittima) di giustizia. Ora invece le tragedie sembrano far scattare un tipo di reazione molto diversa nelle persone, una reazione segnata da imprevisti scatti in avanti di generosità.
Ne abbiamo avuto un esempio in occasione di un altro recente fatto drammatico, come l’esplosione di via Brioschi a Milano, in cui hanno perso la vita anche due ragazzi marchigiani, che vivevano nell’appartamento a fianco. A sorpresa, durante la veglia di preghiera nella vicina parrocchia, ha chiesto la parola la mamma di uno dei due ragazzi, Riccardo Maglianesi. Le sue parole hanno commosso e spiazzato tutti. “Siamo qui”, ha detto accomunando la sua voce a quella dei genitori della ragazza, “perché domani ci aspetta il lavoro peggiore, l’autopsia dei nostri ragazzi, dopodiché ce li riporteremo al nostro paesello. Io avevo solo questo figlio, la mamma di Chiara ha anche un altro figlio, ma sono sicura che il dolore è identico. Per i nostri ragazzi abbiamo chiesto non fiori ma opere di bene, volevamo aiutare dei bambini a distanza, ma visto che qui nel condominio ci sono due bambine da aiutare, i soldi che raccoglieremo li daremo a loro. Siamo commossi dalla vostra solidarietà, siete qui in tantissimi stasera. Grazie Milano, siete grandi, vi porteremo sempre nel cuore”. Ancora non si sapeva che c’era una mano dolosa dietro quello scoppio, ma non penso che questo avrebbe cambiato la scelta di quei genitori. Infatti i soldi raccolti al funerale sono stati poi destinati alle due bambine che hanno perso la madre (morta) e il padre (accusato dell’esplosione e incarcerato).
Seppur in ben diversa situazione, ha colpito anche la reazione dell’ultras di Fermo accusato della morte di Emmanuel Chidi Namdi, l’immigrato fuggito da Boko Haram e da poco arrivato in Italia. Amedeo Mancini ha voluto, per bocca del suo avvocato, annunciare che avrebbe devoluto tutto quello che ha (un pezzo di terra e un terzo di casa colonica avuto in eredità dal padre) alla vedova e di Emmanuel. Sarà stata pure una mossa per ingraziarsi i giudici, ma certo è un gesto, anche questo imprevisto, che colpisce. Anche perché è un’ammissione di colpa.
Di fronte ad un’altra emergenza come quella di immigrati che si trovavano senza casa, in una parrocchia di Genova, Nostra Signora delle Vigne, alcuni fedeli hanno lanciato l’idea di una tassazione collettiva che in breve ha raggiunto 50 volontari. Risultato: tre appartamenti affittati per famiglie e ragazzi immigrati.
Non è il caso di tirare conclusioni sociologiche esagerate. Ma è giusto guardare con gratitudine a questi segni di una generosità che nessuno aveva messo in preventivo.