Il clima (del Creato) non è una merce di scambio

La rottura di Trump sul clima ha attratto anche i suoi avversari sul terreno del mercato e della geopolitica. La polemica autentica resta quella umanistica della Laudato Sì. di GIANNI CREDIT

Il fake più evidente – nel ritiro degli Usa dagli Accordi di Parigi sul clima annunciato da Donald Trump – non è il fatto che Washington resterà in realtà vincolata al Cop21 almeno fino al  2020 quando il presidente sarà al vaglio degli elettori al termine del primo mandato. La post-verità più insidiosa è la pretesa implicita di ridurre la tutela ambientale a oggetto di mercato: a questione economica o geopolitica, comunque relativizzata a interessi di Stati e potentati finanziari attorno alle fonti di energia.

Perfino i molti e agguerriti  avversari della Casa Bianca sul nuovo “fronte del clima” si sono visti costretti ad utilizzare-argomenti in fondo trumpiani (costi/benefici, scambio diplomatico, etc)i piuttosto che controbattere in misura radicale, “umana”, suggerendo a Trump di leggere la copia della “Laudato Sì” donatagli da Papa Francesco una settimana prima della denuncia degli accordi.

Sarà pur vero che i piani d’investimento messi in cantiere per sviluppare generazione di energia pulita sono stimati su scala globale in 4.200 miliardi di dollari entro il 2030 e che la decisione di Trump mette a rischio progetti di ricerca scientifica pura e tecnologica a vasto spettro applicativo, in molti casi già avanzati E’ un fatto – un fatto positivo – che tutte le maggiori multinazionali (comprese le italiane Eni ed Enel) stiano associando in maniera sistematica i loro piani di ricerca e sviluppo con l’impegno a ridurre le emissioni. Né è stato da poco che Michael Bloomberg – ex sindaco di New York e magnate di Wall Street – non si sia limitato a deplorare politicamente la mossa di Trump ma abbia offerto 15 milioni per sostenere i programma Onu di sussidiarietà globale per studi e azioni riguardanti il cambiamento climatico. Ed è per alcuni versi comprensibile che il New York Times – nello sforzo di dare concretezza alla sua polemica anti-Trump – abbia esaminato uno per uno i budget delle agenzie governative a rischio-scure da parte della nuova Amministrazione.

Ma mettersi a duellare con Trump sulle cifre significa entrare inesorabilmente nella visuale di un uomo d’affari americano eletto all’insegna di America First: per il quale il global warming non è una provocazione epocale a tutti gli uomini e ciascun uomo, ma nulla più di un fastidioso effetto collaterale dell’uso intensivo di carbon fossile, un freno alla generazione di profitti più facili da ventunesimo secolo e un po’ di posti di lavoro da dicianovesimo, maledetti e subito. Parlare al presidente americano di posti di lavoro puliti (anzitutto quelli dei giovani ricercatori che lavorano all’energia alternativa) e di profitti “4.0” (quelli generati dall’imprenditoria dell’intelligenza e incorporanti valori collettivi) è vano: Trump, capo della prima potenza globale, è preoccupato unicamente della sua rielezione: come un tycoon di Wall Street si concentra solo sui profitti a brevissimo che possono garantirgli per esempio la manipolazione o il rinvio di una vera ricostruzione del sistema finanziario e delle sue regole. 

La “Laudato Sì” – documento del magistero cattolico rivolto da Papa Francesco alla “cura casa comune” (eco-nomia ed eco-logia) – è stata pubblicata nel maggio 2015 ed è il virtuale preambolo storico-umanistico dell’impegno politico-regolamentare assunto sei mesi dopo a Parigi dai capi di 193 Paesi (tutti: gli Usa e la Cina, la Russia e la Ue, l’Africa e l’India, il G7, il G22 , i Brics, i Next 11, etc). Trump – nel suo primo tour presidenziale in giro per il mondo – non ha però fatto mistero della sua gerarchia di valori: prima e lunga tappa dal primo produttore di petrolio al mondo; scarpe sbattute sul tavolo al G7 come Nikita Krushev tanti anni fa all”Onu e poi, appena ridisceso dall’Air Force One, uno sberleffo al Cop21, con tutti i commentatori scatenati sul chi vince-chi perde fra shale gas eccetera.

Resta quello scalo tecnico, irrinunciabile, in Vaticano. E quel regalo scarno, povero. Quel testo che già alla quinta riga e fino all’ottava “protesta” a dovere: “La nostra casa comune è una sorella che protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi”.

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