E così è arrivato il giorno di Zapatero. Mercoledì scorso, infatti, il Parlamento europeo ha ascoltato il programma del semestre di Presidenza spagnolo. Quello che ormai è un’icona della sinistra post-moderna, rimasta orfana delle ideologie del Novecento, ha detto molte cose. Alcune delle quali condivisibili, almeno per quanto riguarda gli obiettivi da raggiungere per rilanciare la crescita dell’Europa.
Ma su un tema, forse il più importante, Zapatero non è riuscito ad essere tanto deciso e puntuale. Si tratta dello sforzo europeo di parlare con una sola voce e di intraprendere un’iniziativa comune a fronte del disastro di Haiti. Disastro che si ingigantisce dal momento che si registra l’assenza di un coordinamento a livello internazionale.
Sebbene non siano mancate osservazioni in merito del Presidente di turno, esprimere vicinanza a quanti “soffrono di più” e promettere “una risposta forte al bisogno di assistenza” degli haitiani non basta. Zapatero ha parlato di un’azione comune delle istituzioni europee, del Parlamento, della Commissione, della Presidenza di turno e dell’Alto rappresentante per la politica estera, la baronessa Ashton.
Il moltiplicarsi degli organismi, però, non sembra garantire quell’efficacia per cui, con l’entrata in vigore del nuovo Trattato, si è deciso di istituire un unico ministro degli Esteri per i 27 paesi membri. Zapatero, quindi, non ha sciolto un nodo decisivo: dopo Lisbona chi ha la responsabilità tra la Presidenza di turno, il Presidente dell’Ue Van Rompuy e il Presidente della Commissione Barroso di spiegare alla Ashton che forse dopo quasi quindici giorni è il caso di salire su un aereo e volare ad Haiti?
Chi ha la responsabilità di ricordare alla baronessa che, forse, è il caso di dotare la politica estera dell’Unione europea, oltre che di un solo bilancio, anche di un volto e di un’umana capacità di condivisione, così come hanno fatto gli altri responsabili di organizzazioni internazionali? A meno che ovviamente non si confonda Haiti con Tahiti.
Ma, scherzi a parte, il campione dei nuovi diritti civili e dell’Europa progressista sembra aver mancato la sfida di dare quella grande sterzata alla politica comunitaria che le vicende del nostro tempo ancora una volta drammaticamente ci suggeriscono.