Estirpare la zizzania o far crescere il grano?

La classe politica che guida il paese non perde occasione per rivelarsi inadeguata. Alla base di tutto c'è la corruzione, ma non quella dei pm. Editoriale di FEDERICO PICHETTO

In neppure ventiquattr’ore di tempo dalla chiusura dei seggi la Gran Bretagna ha visto proclamati i nomi di tutti i suoi parlamentari, la presa d’atto del risultato da parte delle forze politiche del paese e la riconferma della premiership della nazione con una nuova maggioranza e un nuovo governo. In un contesto molto simile l’Italia nel 2013 impiegò sessantadue giorni per vedere designato dal presidente della Repubblica un presidente del Consiglio. Da allora è stato un susseguirsi di colpi di scena, culminato con l’impietoso naufragio avvenuto in Parlamento dell’accordo fra i principali partiti politici per il varo di una nuova legge elettorale. 

In questi cinque anni la classe dirigente dello Stivale non è stata seriamente capace di abbattere la zavorra del debito pubblico, di rilanciare politiche a sostegno del lavoro e del reddito che fossero eque ed efficaci, di fornire ai cittadini un sistema scolastico, sociale e fiscale semplice e trasparente. Il risultato è quello di un popolo allo stremo, lontano dalla politica e dai suoi riti, stretto dalla morsa di una crisi economica che sembra finita solo nei numeri, ma non nella “testa” e nel “cuore” delle persone. 

Eppure appare evidente a tutti che l’Italia non è solo questo: esiste un popolo fatto di uomini e donne in carne ed ossa che ogni giorno crea e promuove impresa, fa assistenza, insegna, custodisce gli anziani, manda avanti gli ospedali, esprime acume scientifico nella ricerca e nella sperimentazione d’eccellenza, riflette, scrive e si sostiene a vicenda. Mai come in questo periodo, insomma, la classe politica appare lontana dalla nazione reale, al punto che si potrebbe dire che il vero miracolo di questi nostri anni è che le cose stiano in piedi — che la coesione sociale non venga meno del tutto — nonostante l’inadeguatezza di chi tiene in mano le redini del potere. 

Certamente all’origine di tutto sta la corruzione, quel fenomeno che non è tanto il sistema che la magistratura denuncia da venticinque anni a questa parte, quanto qualcosa che si annida nel cuore di ciascuno e che si esprime nel ritenere che il bene sia una cosa da ottenere e non l’esperienza che ognuno può fare nell’attenderlo. Il capitalismo ci ha insegnato, in modo continuo e penetrante, che il bene è un prodotto, è un qualcosa di determinato e finito, è un potere. Al contrario l’esperienza dell’uomo testimonia che il bene non consiste in ciò che si possiede o in ciò che si raggiunge, bensì nella strada che si fa per arrivarvi. Una cosa è buona se mi mette in cammino, una cosa è un bene per tutti se smuove e cambia l’Io. Altrimenti è solo un qualcosa di definito a disposizione del mio pensiero e del mio schema ideologico. 

Oggi il Capo dello Stato incontrerà ufficialmente Papa Francesco, l’uomo che più di tutti sta insegnando al mondo che la vita non è autentica quando si difende dal male, bensì quando non perde di vista il bene. Un nuovo impegno in politica, un nuovo sussulto di dignità e di partecipazione che porti il paese ad una via d’uscita seria e decorosa dalla situazione squallida in cui si trova, non può che muovere le sue premesse dall’appassionata ricerca di un positivo dentro ogni istanza e ogni situazione, quell’appassionata ricerca che nella figura del Cristo è diventata certezza col Mistero dell’Incarnazione, di un Dio che non ha timore della storia, ma che la incontra fino a farla Sua. 

Noi non siamo venuti al mondo per estirpare la zizzania, bensì per fare in modo che il grano cresca. A ben vedere, oggi, questa coscienza è quello che ci manca.

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