Fu Donna come nessun’altra: seppe stare ferma al posto datole. “Stabat mater dolorosa” (“La Madre addolorata stava”) canta l’antica sequenza cattolica attribuita a Iacopone da Todi. Stava alle “esigenze” del Cielo: a Nazareth come a Cana, fuori dalla sinagoga, d’anonima nel pretorio. Sotto la Croce, il mattino di Pasqua, nel giorno in cui calò lo Spirito. Nascosta alla luce, dietro le quinte: mai seduta, però. Indiscreta, al punto da scocciare il Cristo solo nell’attimo in cui la speranza sta collassando, il mondo è a corto di gioia: “Non hanno più vino” (Gv 2,3). Quel dì, senza rendersene conto, mise in moto la macchina dei miracoli di Cristo: oppure lo sapeva così bene che, come tutte le madri, temette un’umana svista del Figliolo. Certe donne, alcuni giorni, fan delle cose che fan rimanere tramortiti: fanno muovere le braccia pure al Cristo. Tu potresti passare una vita intera a tentar d’imitarle, ma non saresti capace d’aver dentro quella leggerezza che hanno loro. Sono leggere dentro, d’anima. Stando al loro-posto, divengono l’avamposto ultimo di Dio. Da Nazareth a casa mia, passando per il Golgota.
Dalla casa di Nazareth, il suo banco-da-lavoro è sempre rimasto lo stesso: nelle giornate di vigilia apparirà Lei, in quelle di festa s’annuncerà Lui. I giorni dell’Uno senza l’Altra diverranno giorni-scoperti: nessuno si scordi che anche Satana ha i suoi giorni, i suoi miracoli. L’essere immondo odia quella Donna: è un odio della prima ora — “Una donna ti schiaccerà il capo e tu le insidierai il calcagno” (Gen 3,15) —, una questione di posizione: lui invadente, Lei modesta. Al punto che il Cielo Le assegnò il posto che le spettava per grazia, confermato sul campo: se l’assunse lassù, a favore di chi stava ancora quaggiù. Fu così che la donna-della-porta-accanto, quella che le amiche d’infanzia di Nazareth mai sospettarono portasse nel grembo Iddio, divenne la patrona del femminile. Dal quale discende il maschile, anche Dio: bella, dopo di Lei, non sarà colei della quale si esaltano le gambe o le braccia, ma quella la cui visione d’insieme è tale da far perdere di vista le singole parti. L’incanto sarà questione di grazia.
D’allora, tutto uguale ad allora: le donne belle il Cielo le lascia agli uomini senz’immaginazione, quelle vere le riserva per chi, umano, tenterà la vetta della santità. In quanto al femminile, il Cielo sa fare: “Donna, se’ tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia e a te non ricorre, sua disianza vuol volar sanz’ali” (D. Alighieri).
Qual merito, dunque, per tutta quest’iradiddio di esagerazione? E’ tutto semplice: seppe fare spazio nei suoi sogni ai sogni di Dio, imparò a sognare gli altri come ancora non sono. Allenatasi ammaestrando all’Eterno dodici uomini di sana e robusta costituzione — i primi amici del suo Figlio — fu il mondo stesso, vistala all’opera, a tributarle il titolo giuridico di avvocata nostra: una custode per i giorni di appelli e sentenze, dispute e difese, arringhe e deposizioni. Il Cielo, saputolo, ci mise la firma: l’assunse a tempo-indeterminato, dichiaratamente a favore di tutte le esistenze a tempo-determinato: slabbrate, scucite, scordate. Sbeffeggiate. Delle storie orfane.
Ancor oggi — ch’è il tempo della vigilia prima del ritorno finale del Figlio — ama mostrarsi, per farsi trovare, a destra e a manca: le chiamano apparizioni. Quaggiù dicono: “Madonna di Lourdes, di Fatima, del Pilar. Quella apparsa a La Salette, a Medjugorie”. Amano far competere i paesi, finendo per generare più madonne, l’una a sbalzare di sella l’altra. Una sola, invece, è la Donna: appare diversa perché, da Gran Madre qual è, di ogni figlio conosce accenti, usanze e necessità. Per ognuno sceglie un posto diverso: il luogo e il tempo migliore per parlare cuore-a-cuore. Per questo fu assunta e non morì: perché ognuno possa dire “l’ho vista” senza per questo sbugiardare chi, all’altro capo del mondo, sta giurando la medesima cosa. “Ti saluto, Maria. Saluta Gesù da parte mia”.