“Vi incoraggio a custodire lo spessore del presente”. Lo ha detto papa Francesco qualche giorno fa incontrando la redazione di Avvenire. È una di quelle frasi che non ti escono dalla testa perché non si riesce a farla rientrare nei parametri dei soliti ragionamenti (in questo caso sul lavoro di informare) e delle consuete raccomandazioni sull’etica professionale. Quindi questa non è una reazione a scoppio ritardato ma un tentativo di elaborare la densità sorprendente di quelle parole.
Il primo concetto con cui dobbiamo fare i conti è quello del presente. Francesco salta a pie’ pari ogni perplessità che noi in genere abbiamo al riguardo, nel senso che non prende neanche in considerazione l’ipotesi che si possa avere uno sguardo di scetticismo verso il tempo che viviamo. Il “presente” è per lui una categoria positiva a priori. Avrebbe potuto comunque limitarsi a raccomandare di “custodire il presente”, dando per scontato che il “presente” è un valore. Invece ha voluto rafforzare il concetto, come se parlasse a persone piene di riserve mentali rispetto a questa idea, dicendo che ciò che va custodito è lo “spessore del presente”.
Non è che Bergoglio non sia consapevole di ciò che caratterizza questa stagione della storia. Lui stesso ha fatto ricorso all’immagine coniata da Zygmunt Bauman di una stagione “liquida”. “Ci muoviamo nella cosiddetta ‘società liquida’, senza punti fissi, scardinata, priva di riferimenti solidi e stabili; nella cultura dell’effimero, dell’usa-e-getta”, aveva detto parlando ai domenicani nel 2017. Aveva parlato di un tempo segnato da “un carnevale mondano”.
Come può avere spessore un presente unanimemente definito come liquido? Sembra una contraddizione in termini. Eppure la parola del papa è consapevole e precisa. Tant’è che chiede addirittura di “custodire” questo spessore, che evidentemente è qualcosa non solo di reale, ma addirittura di prezioso. Bergoglio sa che tutti dubitiamo sul valore di questo tempo, per questo la prima parola è un incoraggiamento, un gettare il cuore oltre l’ostacolo per amare il tempo in cui siamo chiamati a vivere.
Dovessimo però descrivere lo “spessore” del presente ci troveremmo in difficoltà. Il nostro è un tempo che ci appare impoverito, balbettante, insicuro. È un presente con scarsissima propensione al futuro e con poca affezione al passato. Verrebbe da dire che è un presente che gode di pochissima stima da parte di chi lo vive. Eppure, ci avverte con molta sicurezza Bergoglio, è un tempo con uno “spessore”. In cosa può consistere allora questo “spessore”? Forse proprio in ciò che non abbiamo preso in considerazione: la sua povertà, la sua fragilità, quella stessa confusione sociale un po’ babelica, le tanti solitudini inutilmente mascherate, quell’ansia diffusa che smangia la quotidianità. Il corpo del nostro tempo è fatto di tutto questo. Di tanto vissuto davanti al quale preferiamo voltare la testa. Ma tutto questo vissuto fa comunque “spessore”. Ed è quello “spessore” che dobbiamo imparare ad amare, come atto di carità verso noi stessi e il nostro presente. Bergoglio ci invita più precisamente a custodirlo, che non significa conservarlo, ma prenderlo a cuore e averne cura. Cominciando a guardare al presente con tenerezza, perché il presente, pur nella sua povera carne, è comunque il tramite attraverso cui ci raggiunge il mistero.