Più realisti dei forconi

Il movimento dei “forconi”, al di là delle reali dimensioni quantitative e delle componenti che lo animano, è l’indicatore di un’esasperazione non ricomponibile. SALVATORE ABBRUZZESE

Il movimento dei “forconi”, al di là delle reali dimensioni quantitative e delle componenti che lo animano, è l’indicatore di un’esasperazione non facilmente ricomponibile. Esso costituisce un’ulteriore prova di quanto gli scenari che hanno fatto seguito alle ultime elezioni, abbiano finito con il produrre un’ulteriore incrinatura nella già compromessa situazione politica nazionale. In questo contesto appare abbastanza riduttivo dare etichette ad un tale movimento e definirne le eventuali appartenenze.

In realtà, dopo la vittoria del non voto nelle regionali in Sicilia dell’ottobre 2012 (oltre il 52%) ed il successo del movimento di Beppe Grillo nelle elezioni politiche di febbraio (oltre il 25%) il movimento dei “forconi” costituisce il terzo segnale di radicale malcontento nel Paese. Il fatto che questi segnali si succedano l’un l’altro non può passare inosservato e a ben poco serve diagnosticarne l’esiguità quantitativa dei partecipanti o l’eventuale aberrazione delle analisi politiche che qualche esponente improvvidamente diffonde.

Il vero problema risiede nell’assoluta insostenibilità di poter sostenere ulteriormente la permanenza di una grave crisi economica con il progressivo aggravarsi di una profonda crisi politica. Vengono adesso ad emergere le colpevoli leggerezze con le quali si è troppo facilmente ridotta la crisi del sistema Italia ad un semplice problema di “casta” politica, alimentando i peggiori rancori e i più estesi risentimenti. Sono state troppo rare le voci che si sono impegnate a diagnosticare le ragioni reali alla base della situazione attuale, tutte da ascrivere ad un meccanismo fondamentale del gioco democratico: la ricerca del consenso attraverso la distribuzione sistematica di benefici diretti o indiretti estesi ad intere categorie (sono questi i veri “costi della politica” come ebbe a diagnosticare Mario Monti in un periodo non proprio lontano). Qualora l’opera del governo Letta dovesse essere giudicata insufficiente, l’alternativa non può consistere che nell’apertura di una nuova fase di solidarietà nazionale. 

Credere che una simile priorità possa essere elusa attraverso la presenza di una specifica leadership al potere, vuol dire alimentare l’idea che si possa effettivamente modificare l’hardware del nostro sistema di costruzione del consenso politico senza passare per una maggioranza costituente. 

Armati di una tale illusione si rischia, all’indomani delle ennesime elezioni anticipate, di risvegliarsi effettivamente nell’anticamera di una crisi senza ritorno. Una tale illusione rischia di alimentare paradossalmente la più grave illusione del nascente movimento: convinti dell’impossibilità di qualsiasi nuova leadership, questi coltivano infatti l’idea che basti mandare “tutti a casa” e affossare l’euro, per risolvere la crisi attuale. Ed è proprio il carattere, in qualche modo “radicale” di questa protesta che richiede la necessità di una risposta realistica da parte delle forze politiche. Solo ammettendo le radici profonde del problema e recuperando i principi di una indispensabile solidarietà nazionale è possibile mettere mano alle riforme profonde che si rendono necessarie.

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