Forse solo un economista-manager di lungo corso come Giulio Sapelli sarebbe riuscito a quadrare prima e a comunicare poi – in Parlamento e in Europa – il programma economico di una coalizione fra Lega e M5s, anzi: avrebbe potuto provare a svezzare una coalizione molto improbabile su un’agenda economica con un minimo di coerenza interna. Il fatto che non abbia neppure potuto tentare è significativo di quanto impossibile – a questo punto – appaia di tentativo di Luigi Di Maio e Matteo Salvini: per i quali i molti passaggi economici dei “19 punti del Pirellone” erano evidentemente solo un paravento di carta per giustificare una scalata pura e semplice a Palazzo Chigi.
Le veline fatte circolare durante il singolare weekend milanese dei due leader, comunque, hanno rivelato delle due l’una: o la totale ignoranza dell’abc della politica economica; o, peggio, un furbo dilettantismo politico verso il Paese e gli elettori. Forse non c’era neppure bisogno di testi universitari per avere la conferma che flat tax e reddito di cittadinanza (soprattutto nella versione hard mantenuta da M5s e magari unito a un allentamento della legge Fornero) sono assieme poco compatibili con un bilancio pubblico messo sotto pressione sia dal ciclo economico che dalle regole correnti di adesione alla Ue. Più deficit e quindi più debito: l’Italia di oggi non se lo può permettere, a meno di non immaginare una palingenesi dell’Eurozona o un’uscita dell’Italia dall’euro. (Se lo potrebbe permettere – forse – un Paese in cui le imprese marciassero a piena forza, i conti pubblici correnti fossero in equilibrio e la normalizzazione del debito avesse almeno mosso i primi passi).
Le condizioni di ipotetica compatibilità – cioè di quadratura del cerchio – sono peraltro rimaste nella nebbia del “non detto” e “non scritto” e soprattutto di genitore incerto fra Salvini e Di Maio. La “pace fiscale” ventilata nei 19 punti sarebbe niente più che un ennesimo condono – la più italiana “lotta all’evasione” – mentre in filigrana se ne intravvede la calligrafia leghista. L’allarme “patrimoniale” è stato invece lanciato da Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni: peraltro non smentiti. Certamente non contraddetti da Luigi Di Maio, il cui reddito di cittadinanza non sembra ideologicamente slegato da un antico antagonismo classista.
Questo notato, la questione rimane la seguente: una manovra strategica che associasse flat tax e reddito di cittadinanza finanziati da un condono e da prelievi fiscali straordinari raggiungerebbe l’obiettivo? Promuoverebbe la crescita del Pil e dell’occupazione, su un sentiero virtuoso di ritrovata fiducia sia all’interno del Sistema-Paese sia da parte degli investitori esteri? Non ne siamo affatto sicuri. Ma, soprattutto, non siamo sicuri che Lega e M5s abbiano chiaro che la politica economica non può mai essere un “libro dei sogni”, tanto meno se accoglie anche gli incubi dell’altra metà dell’elettorato.