I figli del lamento, i figli del coraggio

Ieri, sul Corriere della Sera, E. Galli della Loggia ha scritto un editoriale pessimistico, dedicato allo sfascio della nazione, visto come ineluttabile. il commento di SALVATORE ABBRUZZESE

Lo spettacolo che in questo momento l’Italia sta dando è indubbiamente devastante: quanto accade sembra far sì che i nodi vengano al pettine tutti insieme, anche se le cause e i responsabili sono diversi. La natura non è certo benigna e da una tromba d’aria capace di far volare dei container non è semplice difendersi, mentre invece sarebbe perfettamente possibile cautelarsi dalle esondazioni dei fiumi, costruendo gli argini e pulendo i fossi: lavori che oggi sono demandati a pletoriche gare d’appalto, magari con bandi europei e l’aumento vertiginoso dei costi e del contenzioso. 

Occorre riconoscere, in accordo con Galli della Loggia, l’esistenza un degrado persistente che si sta srotolando sotto i nostri occhi. Certamente esiste un’intera classe di professionisti, imprenditori e uomini di cultura che preferisce installarsi definitivamente all’estero, consacrando l’Italia a luogo delle sole vacanze. Così come esiste un intero ceto medio accampato sul quotidiano, senza più nessuna coscienza di ciò che è, né della storia dalla quale proviene. Esiste un primato della volgarità e dell’indecenza, della stupidità e della superficialità che oramai comincia ad essere ben più visibile dei mille beni culturali che pur continuiamo a detenere. 

Eppure, per quanto un simile quadro occupi la scena, non è possibile considerarlo inevitabile, né inarrestabile: è necessario fare ordine e distinguere, per poter intervenire ed essere efficaci. Ciò vuol dire evitare la tentazione di scambiare per derive culturali quelli che invece sono i risultati — certo non voluti, ma non di meno evidenti — di assetti normativi e logiche di governabilità oramai decisamente deleterie. 

Occorre allora in primo luogo prendere atto dell’esistenza di un tessuto sociale diverso, con il quale non è possibile comunicare come quarant’anni fa. La realtà è sfilacciata, plurale e conflittuale al tempo stesso. Esiste un’area sociale di crisi che reagisce con programmi d’assalto, occupando una casa popolare o trucidando per una decina di bollette da pagare; esiste un’area della delinquenza ed una zona di isteria sociale che vanno attaccate con mezzi idonei, con procedure diverse, leggi a misura di chi compie il crimine e personale preparato. Ciò vuol dire avere il coraggio politico di cambiare e riscrivere le regole, sia di intervento sia di procedura.

Occorre inoltre, in secondo luogo, prendere atto di una macchina di organizzazione e negoziazione del consenso elettorale che va definitivamente portata in garage. L’Italia nella quale il consenso politico si acquistava gonfiando gli organici dei pubblici servizi e del governo locale, estendendo le aree del lavoro virtuale a scapito di chi avvia lavoro reale, va definitivamente archiviata.

Non è pensabile che, ancora oggi, ci siano recinti corporativi che possono aspirare all’eterna salvaguardia delle loro guarentigie, quando per tutte le altre categorie si parla di perdita del posto di lavoro. Ne è pensabile che si continui ad usare la spesa pubblica come volano occupazionale. Ciò vuol dire avere il coraggio politico di cambiare e riscrivere le regole del patto sociale.

Occorre infine, in terzo luogo, far saltare il fortilizio di una cultura relativista e indifferente, che dopo aver ignorato il passato, banalizza il presente e si compiace di contemplare un futuro che semplicemente non c’è. L’incapacità di analizzare e valorizzare l’identità culturale del Paese, laureando generazioni di figli di nessuno, senza nessuna identità né memoria che non siano semplicemente d’archivio, totalmente strutturati e compromessi dal disincanto suicidario dei loro maestri è anch’essa alla base di quell’esodo oltre le Alpi che è sotto gli occhi di tutti.

Occorre allora reperire e valorizzare valori e attori sociali. Tra i valori c’è certamente il merito: quello che porta le nostre menti migliori ad insegnare nelle università europee ed americane e che, una volta riconosciuto, ci ha dato l’onore di avere un’italiana alla guida del Cern di Ginevra. In pari modo, tra gli attori sociali da valorizzare, c’è al primo posto la famiglia: questa sorella povera e mai realmente rispettata che deve essere aiutata e sostenuta nei suoi insostituibili compiti. Accanto a questa ci sono le associazioni di volontariato che assistono, educano, operano in mille modi diversi e che sarebbero anche pronte a pulire gli argini dei fiumi del loro paese o del loro quartiere, qualora venisse data loro la possibilità di farlo. C’è un mondo civile in attesa, che subisce ed incassa degrado, corruzione, volgarità e delinquenza. Si tratta di metterlo in condizioni di operare, di riconoscerlo e di promuoverlo. Chi governa deve solo trovare il coraggio politico di farlo, il consenso verrà da sé.

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