Donne forti (e sante)

Ricordando il ruolo che ha avuto la Chiesa per liberare le donne dalla condizione in cui erano sottomesse, PRIMO SOLDI ci parla del caso di Asia Bibi, condannata a morte perché cristiana

Nel mese di novembre la chiesa ricorda tra le “donne forti” Elisabetta D’Ungheria, Santa Cecilia, Santa Caterina D’Alessandria. Benedetto XVI tra il 2010 e il 2011 dedicò ben 16 catechesi alle donne sante. Memorabile fu la catechesi dedicata a Santa Giovanna D’arco il 26 gennaio 2011. Il libro dei Proverbi che leggeremo questa sera in tutte le chiese pone questo interrogativo: “Una donna forte chi potrà trovarla? Ben superiore alle perle è il suo valore. In lei confida il cuore del marito… si procura lana e lino e li lavora volentieri con le mani… stende le mani al povero” (Pr 31).

Forse tanti tra di noi leggendo questo ritratto della donna forte ripensano alla propria mamma; io sono tra questi. Bisogna riconoscere che fu il cristianesimo a restituire alla donna tutta la sua dignità. Basta leggere a questo proposito il grande libro di Gustave Bardy La conversione al cristianesimo nei primi secoli. “Illusorio è il fascino e fugace la bellezza, ma la donna che teme Dio è da lodare. Siatene riconoscenti”.

San Giovanni Paolo II il 15 agosto 1988 dedicò alla figura della donna una delle sue più belle encicliche: Mulieris dignitatem. Non è un caso che nel momento in cui in certi paesi la donna torna ad essere venduta come schiava, ad essere abusata e uccisa, sul finire dell’anno liturgico la Chiesa ci faccia riflettere sull’importanza della donna e sulla parabola dei talenti. Il talento femminile da rivalutare è uno dei segni dei tempi. Inoltre non dimentichiamo che al centro dell’avvento c’è la figura della Madonna, celebrata l’8 dicembre come Immacolata. Ma io vorrei soffermarmi su una figura di una donna forte che è sotto gli occhi del mondo per il supplizio a cui è stata ingiustamente condannata e come sepolta viva da cinque anni nel carcere di Sheikhupura Multan in Pakistan: Asia Bibi. 

Chi è Asia Bibi? Era il 19 giugno 2009 quando questa contadina fu accusata di blasfemia e arrestata. Nessuna prova convincente contro di lei, ma solo la denuncia di alcune vicine astiose, dopo una lite durante la raccolta di bacche da falsa. Condannata a morte, nonostante i testimoni abbiano ritrattato, recentemente l’Alta Corte di Lahore ha confermato la sentenza di condanna. Ora non resta che sperare nell’ultimo grado di giudizio della Corte Suprema. Asia Bibi è ormai il simbolo degli abusi prodotti dalla cosiddetta legge “antiblasfemia”: i due articoli del codice penale pachistano che prevedono la pena capitale per chi offende l’islam. Il marito di Asia Bibi, Ashig Masih, con le figlie Isham e Sidra, sono vicini alla loro mamma con la preghiera che recitano tutti i giorni: “Ti rendo grazie Signore con tutto il cuore. Nel giorno in cui ti ho invocato mi hai risposto, hai accresciuto in me la forza. Eccelso è il Signore e guarda verso l’umile. Se cammino in mezzo alla sventura Tu mi ridoni vita. Stendi la mano e la tua destra mi salva. Il Signore completerà per me l’opera Sua” (salmo 128).

Cosi prega la donna forte racchiusa in cella nel braccio della morte, così pregano il marito e i figli. Da cinque anni Asia non può più abbracciare i suoi figli. “Restiamo uniti, dice il marito, lei è presente nei nostri cuori. Noi crediamo che la preghiera possa aprire tutte le porte, anche quelle del carcere. La fede è la sua roccia, la Bibbia è la sua compagnia quotidiana; confida in Dio e nel suo amore. Per questo è viva”.

Ecco una nuova Giovanna D’Arco, ecco le donne forti che dovrebbero fare arrossire i nostri governanti che continuano ad abbattere con nuove leggi quel che resta della famiglia. Qui non si fa che parlare di morte-suicidio assistito, di divorzio breve, di famiglie gay… cercano di coprire i dissesti economici del paese abbattendo la Chiesa. Di tutti i talenti che il Signore ci ha dato da far fruttare il più grande in questo momento è quello di stare di fronte a queste donne martiri, che oggi fanno la storia e non indietreggiano di fronte a norme che cercano perfino di cancellare il nome madre o mamma dal vocabolario. Non praevalebunt!

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