Harry Potter e le reliquie

Credo sia del tutto legittimo che una persona apprezzi un certo genere letterario e ne detesti un altro; a qualcuno piacciono i romanzoni vecchio stile. PIGI COLOGNESI

Credo sia del tutto legittimo che una persona apprezzi un certo genere letterario e ne detesti un altro; a qualcuno piacciono i romanzoni vecchio stile dalla trama intricata e mille personaggi, altri preferiscono le veloci e secche storie poliziesche o di spionaggio. Non mi sorprende, dunque, che un noto scienziato come Edoardo Boncinelli (vedi La Lettura del 25 giugno scorso) non apprezzi il fantasy, preferendogli la fantascienza. Resto però molto stupito di fronte alle sue argomentazioni.

In sintesi Boncinelli dice che “viviamo sempre più in un mondo fantasy”, un mondo dove “quasi tutto è effetto della scienza e della tecnica, ma è circonfuso di mistero e quasi di magia”. Come mai? Perché “il magico costituisce il massimo del disimpegno e della deresponsabilizzazione, le stesse istanze che nella storia hanno portato il romanticismo a disintegrare e soppiantare l’illuminismo”. Ma allora siamo di fronte ad una cosa molto seria e non solo ad un gusto o disgusto letterario, siamo di fronte al pericolo della vittoria dell’irrazionalismo.

Infatti la definizione che Boncinelli dà di fantasy (ampiamente ripresa dalla pagina on line dell’enciclopedia Treccani) è impegnativa: “un genere letterario strettamente connesso con il mondo del soprannaturale. Non si tratta di un sottogenere della fantascienza, come si potrebbe pensare, perché nella fantascienza gli eventi rispettano sempre un filo di coerenza tecnico-scientifica, magari un po’ azzardato, mentre nel fantasy i protagonisti si trovano sempre in balia di forze imponderabili e imprevedibili come la magia e la stregoneria, in ostaggio di un non meglio precisato destino, spesso opera di forze superiori, e soltanto alcuni pochi eletti sono in grado di ribaltare le situazioni create da qualcuno contro di loro”. È chiaro dove sia il punto veramente critico, la questione scottante: è che l’uomo si trova “ostaggio di un non meglio precisato destino”; la Treccani è più esplicita e parla decisamente di “ingerenza divina”. Insomma, dietro il velo della critica ad un genere letterario c’è la convinzione che l’origine di tanti mali (dal disimpegno al dilagare del ricorso alle medicine alternative, al complottismo) sia il sentimento religioso o, meglio, la ragione aperta ad una dimensione che la trascende.

Nell’articolo di Boncinelli c’è una frase significativa in tal senso. Tentando di dare una spiegazione del successo del fantasy dice che mentre la “spiegazione scientifica” — che sarebbe l’unica razionale – della realtà “può essere seguita da pochi” — per esempio gli scienziati che scrivono sugli inserti culturali di importanti quotidiani —, “quella magica e soprannaturale da tutti…”. Tutti, senza distinzione tra quelli per cui “soprannaturale” è la meta di una leale ricerca razionale e i fanatici ammiratori di Harry Potter, tra chi pensa che conoscere il “non meglio precisato destino” sia l’aspirazione massima della ragione e chi si fa predire il futuro da maghi e fattucchiere, tra chi sa che “l’ingerenza divina” nella storia umana è la grande chances del faticoso cammino umano e chi pensa che il giardino di casa sua sia infestato da gnomi malefici. Dalla penna di Boncinelli sfugge poi un dettaglio che fa sospettare che i più temibili tra questi “tutti” siamo proprio noi cristiani. La frase intera, infatti, suona così: “Una spiegazione scientifica può essere seguita da pochi, mentre quella magica e soprannaturale [si noti l’accostamento che produce equivalenza] da tutti, come dimostra il diffuso culto delle reliquie dei santi”. Povere reliquie! saltano fuori dei tutto inattese a “dimostrare” che non c’è differenza tra i cristiani — meglio, i cattolici – e chi ha paura che lord Voldemort si sia accampato nel suo solaio.

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