Razzismo e sport sono spesso due temi correlati, che s’accompagnano. Soprattutto negli ultimi tempi da quando, in Italia, si assiste alla triste cronaca degli slogan urlati dagli spalti degli stadi contro il giocatore dell’Inter Mario Balotelli.
Ieri a Vienna s’è presentata la possibilità di riflettere sul tema. In qualità di rappresentante personale della presidenza Osce contro razzismo, xenofobia, discriminazione, con particolare riferimento alla discriminazione dei cristiani (riconfermato per l’anno 2010) ho partecipato a un workshop sul razzismo e la discriminazione nello sport.
Proprio nei giorni in cui a Vancouver si svolgono le olimpiadi invernali, non dobbiamo dimenticare il valore che questi giochi hanno da sempre assunto. Nell’antica Grecia avevano il potere di fermare la guerra tra Atene e Sparta. Oggi, con le paraolimpiadi, hanno il potere di far “superare” i limiti fisici dei disabili.
Nella Berlino del 1936 proprio le famose gare agonistiche tirarono un brutto scherzo anche a un terribile regime come quello di Hitler, quando Jesse Owens vinse quattro medaglie d’oro e divenne, per il suo colore di pelle, simbolo dell’antinazismo. La gara contro le teorie biologiste e naziste, però, non è ancora oggi del tutto vinta. Il caso Balotelli lo dimostra.
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Il workshop di Vienna ha rappresentato a tal proposito l’occasione per fare proprie e rilanciare le parole di Benedetto XVI, rivolte ai partecipanti delle olimpiadi il 4 febbraio scorso: «Questa occasione importante sia per gli atleti sia per gli spettatori mi permette di ricordare quanto lo sport “può, infatti, recare un valido apporto alla pacifica intesa fra i popoli e contribuire all’affermazione nel mondo della nuova civiltà dell’amore” (Giovanni Paolo II, omelia, 29 ottobre 2000, n. 2). In questa luce, lo sport sia sempre un mattone prezioso su cui edificare pace e amicizia fra popoli e nazioni».