La notizia è di quelle che potrebbero sembrare belle: da qualche mese i servizi di assistenza per i minori e le comunità educative registrano un calo sorprendente di domande. Come se improvvisamente i bambini italiani avessero risolto collettivamente i loro piccoli (o meno piccoli) problemi. Purtroppo le cose non stanno così e la situazione che si sta registrando in tante strutture è solo frutto di una sorta di inganno ottico. In realtà non sono i problemi dei bambini ad essere diminuiti, ma sono le risorse che i Comuni possono mettere sul piatto per rispondere ad essere calate drasticamente.
I Comuni sostengono infatti il 70% della spesa sociale locale, e il ridimensionamento dei trasferimenti statali avvenuto in questi ultimi tre anni inizia a fare sentire ora i suoi effetti. In sintesi, ecco cosa sta avvenendo. Quando una famiglia registra un problema riguardo alla crescita di un proprio bambino, in genere si rivolge ad un assistente sociale, ed è quest’ultimo a indirizzare i genitori verso la struttura adatta ad affrontare il caso; e nella stragrande maggioranza dei casi sono strutture del privato sociale. Oggi invece gli assistenti sociali in molte situazioni hanno l’input di procedere solo nei casi più gravi e di ridurre al minimo tutti gli altri. Il fenomeno riguarda anche quei servizi diurni per bambini e ragazzi disabili che erano un importante supporto alle famiglie: o le strutture sono in grado di recuperare per altre strade le risorse che i Comuni non sono più in grado di garantire, oppure quei servizi devono essere tagliati.
Un’inchiesta realizzata dal settimanale Vita in edicola da domani rende bene la situazione. Per fare qualche esempio: l’Associazione Fraternità, di cui fa parte la casa di Montecremasco, ha visto un calo di richieste intorno al 50%; alla Casa di Paolo e Piera ad Olgiate Comasco, una comunità per minori sorta un anno fa, i primi cinque bambini stanno arrivando solo ora, per un servizio diurno ad un corrispettivo di 26 euro al giorno!; in Emilia Romagna si sono arrangiati cancellando il vincolo che imponeva un rapporto numerico tra educatori e minori; a Milano un’esperienza innovativa come lo spazio gioco per bambini con disabilità gestito dall’Associazione L’Abilità ha visto svanire i 65mila euro di cofinanziamento che il Comune aveva garantito sino a dicembre. La strategia è quella di lasciare i minori con difficoltà sulle spalle delle famiglie, rinunciando di fatto ad ogni forma non solo di sostegno ma anche di prevenzione. In questo modo i casi vengono poi intercettati quando sono molto più compromessi e l’età dei ragazzi più avanzata. «I ragazzi vengono sempre più “presi per i capelli”», ha raccontato un’operatrice, confermando come nelle strutture l’età media degli adolescenti che arrivano sia salita da 12 a 15 anni.
La strada scelta per venire incontro alle difficoltà di bilancio è la più semplice: scaricare ancora una volta tutto il peso sulle famiglie. Quelle stesse famiglie che già sono, loro malgrado, la vera colonna portante di un welfare sempre più in affanno. Veri ammortizzatori sociali, chiamati ogni volta a tappare tutti i buchi senza mai avere nessun vero sostegno o agevolazione. E che mostrano di aver ancora un tesoro di energia umana, più forte delle ingiustizie continuamente subite.
Sono famiglie a cui fra qualche settimana verrà chiesto di pagare l’anticipo della nuova Imu. Una tassa che a dispetto del nome (Imposta municipale unica) verrà per il 60% incassata dallo Stato, come ha spiegato Luca Antonini, e quindi non servirà certamente a riattivare, almeno in parte, quei servizi che in questi mesi i Comuni si sono trovati a dover progressivamente tagliare. Anche per il governo dei tecnici la famiglia è ancora una volta solo un soggetto da drenare.