Di fronte a tragedie come quelle che si sono consumate nei nostri mari nell’ultima settimana, con la morte di alcuni migranti che si apprestavano ad approdare sul nostro territorio, si avverte dilaniante un senso di vera indignazione e appassionata solidarietà nei confronti di qualcuno che, troppo spesso, non consideriamo nemmeno uomo.
Le immagini di morte risuonano come una condanna senza appello del far west ideologico che si è scatenato negli ultimi tempi sullo scenario politico italiano. Non c’è differenza tra chi urla “Maroni assassino” e chi sostiene che sparare sui migranti sarebbe la misura più adeguata per evitare un’invasione. Sembra che nessuno si sia ancora degnato di guardare in faccia questi uomini e queste donne.
Luca Doninelli ha scritto uno splendido editoriale su queste pagine nei giorni scorsi. Mi permetto di riportarne alcuni passaggi.“C’è qualcosa che è destinato a non sparire. È la domanda che sale dalle scene concitate dei giorni scorsi. Una domanda che non segue le coordinate del nostro mondo, né le costituzioni degli Stati, né il Diritto internazionale, né le più o meno legittime posizioni dei diversi partiti. Si tratta del diritto elementare dell’uomo ad avere un futuro, della sua aspirazione a una vita dignitosa, a una destinazione per il proprio viaggio”.
E ancora: “Il fatto è che la società ricca ha smesso di porsi le domande elementari che la nostra civiltà, nelle diverse epoche, si è sempre posta: che cos’è l’uomo, che cos’è il destino? Se lo chiedevano gli Ebrei e i Greci, se lo chiedevano i Padri della Chiesa, se lo chiedevano i dottori medievali e gli umanisti, gli idealisti e gli illuministi. Che cos’è un uomo? Che cos’è un emigrante? Che cos’è un uomo costretto a viaggiare per necessità? Che cos’è un uomo che annega, che cos’è un bambino che muore di stenti o che viene gettato fuori dal barcone mentre il mare è agitato? Che cos’è una donna che partorisce su una nave? Non mi chiedo nemmeno che speranza possiamo offrire a quelle persone, ma soltanto se riusciamo a cogliere la speranza che li anima, e che fa tutt’uno con la loro sofferenza”.
Ogni uomo politico dovrebbe avere scolpite nella testa e nel cuore queste domande, in ogni ambito della propria attività. Altrimenti sarà sempre più difficile dare un senso all’agire pubblico di ciascuno di noi. Questa mancanza di realismo e di umanità è forse lo specchio di una società che, secolarizzandosi troppo in fretta e goffamente, non è più capace, a tutti i livelli, di chiamare le cose con il loro nome. La politica è purtroppo l’immagine di questa perdita di significato e dell’agonia in cui versano quegli ideali a cui dobbiamo rimanere legati.
Il rapporto tra accoglienza, integrazione e sicurezza è indissolubile: maggiore sicurezza vuol dire maggiore integrazione. Un luogo sicuro è anche un luogo i cui i cittadini sono meglio disposti ad accettare anche chi viene da fuori. Se la repulsione a prescindere nei confronti di chi è in difficoltà è inaccettabile, è allo stesso modo impensabile che possa essere accolto chiunque. L’atteggiamento della politica che ho appena cercato di descrivere ha come unico risultato quello di negare l’aiuto a un uomo che soffre. Lo fa chi vuole accogliere tutti indiscriminatamente, ma lo fa anche chi inneggia all’uso delle armi.
La crisi dell’Europa nasce da qui: dal nulla con il quale in molti vogliono sostituire ciò che dà senso al progetto politico che resta, in ogni caso, un’enorme opportunità per chi vi partecipa. E allora vediamo uomini politici che si accapigliano in Italia per un pugno di consensi. Vediamo anche, purtroppo, la maggioranza dei governi europei che affrontano una crisi umanitaria spaventosa con un egoismo senza precedenti.
La priorità è evidente di fronte al problema dell’immigrazione, così come è evidente da anni per chi frequenta le istituzioni europee: la politica deve tornare a essere l’espressione di una società che sia portatrice di senso. La società europea può ritrovare questo senso soltanto recuperando lo sguardo cristiano da cui sono state costruite le sue fondamenta.