La ripresa “non percepita” e le generazioni perdute

Il piccolo ritocco al rialzo per le stime del Pil 2017 da parte di Bankitalia cozza contro statistiche sempre più drammatiche su povertà e Neet. di GIANNI CREDIT

Un dibattito su un decimale in più di crescita attesa per il Pil a fine anno, purtroppo, si commenta da solo. E se anche l’Istat dovesse certificare un +0,4% nel secondo trimestre (base per il +1,4% stimato al rialzo dalla Banca d’Italia per il 2017) una ripresa molto “dibattuta” fra politici ed economisti, rimarrebbe del tutto “non percepita” nel Paese reale. Gli italiani continuano a riconoscersi di più in altre rilevazioni statistiche, del presente o del passato prossimo.

Spiccano anzitutto le vaste aree di povertà che l’Istat ha nuovamente segnalato nei giorni scorsi. E poco conta se il dato sembra essersi stabilizzato: a fine 2016 risultavano ufficialmente poveri 4,7 milioni di italiani raggruppati in 1,6 famiglie. E’ un trend di lungo periodo (siamo ai massimi dal 2005) ed è una povertà che si va pericolosamente concentrando fra chi ha meno di 35 anni. In altre parole statistiche – quelle della Ue, ancora nelle ultime ore – soffre quel 37,8% di italiani disoccupati fra i 15 e i 24 anni (terzo peggior dato Ue dopo Grecia e Spagna). Ed è in questa “generazione perduta”, infine, che in Italia si è gonfiata a dismisura la bolla Neet: il 19,9% degli appartenenti alla fascia 15-24 non è impegnata né su un posto di lavoro, né in un istituto scolastico, né in un programma di addestramento professionale. E’ il record nella Ue, contro una media dell’11,5%.

Sono questi i numeri che hanno spinto l’arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi, al più brusco dei commenti, lontano da ogni dibattito: “Non c’è nessuna ripresa da festeggiare”. Ma la stessa Banca d’Italia – il cui ritocco statistico è stato strattonato oltre le intenzioni – appena lo scorso maggio era stata assai più cauta e realista. Il Pil italiano ritroverà prevedibilmente i livelli assoluti antecedenti lo scoppio della crisi finanziaria globale solo “nella prima metà del prossimo decennio”, ha detto il 31 maggio il governatore Ignazio Visco. Che si realizzi nel 2022 o 2023 una vera ripresa potrà essere dichiarata solo allora. Ma quale Italia, potrà dirsi – allora – veramente “in ripresa”? Quale sistema produttivo saprà essere competitivo facendo leva su quale “capitale umano”?

Le “aree di povertà” rischiano di diventare un problema strutturale: di tenuta sociale, ben al di là del ritmo del Pil. L’inclusione continuamente rimandata di Neet sempre più vecchi invecchiati può rivelarsi una bomba a orologeria non meno pericolosa nell’allungamento della vita media per gli equilibri dei sistemi di welfare. E mentre il governo italiano del 2017 affronta per l’ennesima volta un giudizio di periodo breve e medio sulll sostenibilità quel debito pubblico, la polarizzazione dell’occupazione, della ricchezza finanziaria e delle tutele sulle fasce di popolazione più anziane (sempre più anziane) sbilancia il Paese al suo interno più’ di quanto facciano apparentemente le pressioni migratorie dall’esterno.

È certamente un “vasto programma” quello che attende le forze politiche – tutte – all’indomani del voto. Due strade sembrano segnate. La prima, non sembri un paradosso, è partire con coraggio e intelligenza dal record di lavoratori autonomi evidenziato per l’Italia dalle statistiche Ue. Il crinale fra precariato/sfruttamento e sviluppo di una robusta tradizione di auto-imprenditorialità in Italia è sempre sottile e accidentato: ma dipende solo dal sistema-Paese costruirci un vantaggio competitivo facendo emergere ogni talento disponibile con politiche appropriate.

La seconda sfida strategica continua a chiamarsi education, ma impone di accelerare e concretizzare il riordino dei percorsi scuola-lavoro. Promuovere sistematicamente gli Its verticali nei cento distretti vecchi e nuovi può rivelarsi più decisivo che introdurre gli stage per decreto per linee orizzontali.

Sullo sfondo c’è un complesso di scelte tuttora indefinite che passa sotto l’etichetta onnicomprensiva di “politica fiscale”. Qualche idea ha naturalmente cominciato a circolare nel mercato pre-elettorale: la flat tax ha subito preso quota nell’opinione pro-business. La risposta pro-labour dice: forti sgravi a chi assume giovani. Resta il vincolo della riduzione del debito. Ma anche quest’ultimo tema – statisticamente drammatico – sembra datato nell’impostazione. l’Italia lo deve risolvere (al netto di una revisione profonda e obbligata del funzionamento dell’Europa fiscale): ma imporre, ad esempio, un prelievo patrimoniale ora può significare picconare il solo muro rimasto in piedi di “filiere familiari” lunghe tre generazioni.

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