La classe media europea è in grave pericolo. La crisi degli ultimi anni e la competizione globale stanno distruggendo il benessere e la relativa ricchezza della fascia intermedia della popolazione del Vecchio Continente. Stiamo perdendo una delle conquiste più decisive che ci siano state dopo la Seconda guerra mondiale.
Il caso della Spagna, uno dei paesi con più disuguaglianze in Europa (alle spalle solo di Portogallo, Bulgaria e Lettonia), è particolarmente significativo. Il tasso di disoccupazione in Europa, a livelli record, è un fattore decisivo. Ma avere un lavoro non vuol dire necessariamente essere usciti dalla povertà.
Qualche settimana fa è stato pubblicato un rapporto Eurostat sui “mini-salari” (quelli inferiori di due terzi al salario medio lordo), da cui è emerso che questo tipo di retribuzione è cresciuto in Europa del 17% negli ultimi quattro anni.
Qualche giorno fa è stato presentato a Madrid il rapporto della Fondazione Foessa (Fondazione di studi sociali e di sociologia applicata) sulle disuguaglianze sociali, in collaborazione con la Caritas. Le conclusioni sottolineano una crescente divisione sociale. La disuguaglianza non è diminuita durante gli anni di vacche grasse.
E ora è schizzata a livelli altissimi. La cosa che balza agli occhi è che mentre la disuguaglianza aumenta in Europa, diminuisce in altre zone del pianeta, per esempio in America Latina, dove la differenza tra ricchi e poveri era sempre stata una fonte di scandalo, di instabilità politica e sociale. L’ultimo rapporto della Banca Mondiale sulla mobilità economica e la crescita in America Latina è abbastanza chiaro: la classe media della regione è passata da 103 milioni di persone nel 2003 a 152 milioni nel 2009. E la tendenza all’aumento continua.
L’arrivo di investimenti massicci e l’alto tasso di crescita possono riuscire a correggere il grande punto debole delle società latinoamericane. Il fatto che l’America Latina vada verso una coesione sociale e l’Europa percorra il cammino inverso non significa che il Vecchio Continente sia stato raggiunto.
Ma bisogna comunque cominciare a pensare seriamente a cosa sta succedendo. E, soprattutto, bisogna cominciare a rivedere il modo con cui generiamo ricchezza e la distribuiamo. Ci sono economisti che segnalano che il “trasferimento” della classe media dall’Europa all’America Latina si spiega, in gran parte, con il fatto che in un mondo globale ci sono lavori e attività che sono “emigrati” dall’altra parte dell’Atlantico, come per esempio è accaduto con l’industria della tecnologia informatica.
C’è, tuttavia, chi sottolinea che la distruzione della classe media, specialmente nel sud Europa, si deve allo smantellamento del welfare creato negli anni ‘70. La soluzione sarebbe copiare quello che fa il nord: alzare la pressione fiscale, ridistribuire meglio e aumentare i servizi principali dello Stato. Senza dubbio c’è qualcosa che non va nel nostro sistema fiscale – c’è troppa evasione e si penalizzano le famiglie, che alla fine sono quelle che garantiscono la coesione sociale -, ma è difficile immaginare che più welfare sia soluzione quando non ci sono risorse per pagarlo. Il vecchio welfare favorisce i ricchi rispetto ai poveri (i ricchi hanno infatti più capacità di beneficiare delle sue prestazioni).
Inoltre, genera perdite. La soluzione non è quella di smantellarlo per lasciare poi tutto al mercato, ma di sviluppare una welfare society in cui gli enti della società civile possano assumere la gestione di molti servizi. Lo faranno con più efficacia e, soprattutto, aumenterà il senso di responsabilità. La responsabilità, l’iniziativa e la creatività sono essenziali per generare un’alternativa. La soluzione alla distruzione delle classi medie passa attraverso una maggiore crescita, che non si realizza se noi europei non recuperiamo la capacità di essere protagonisti, di nuovo, del nostro sviluppo. Solo così riusciremo a ritagliarci uno spazio nel mondo. Bisogna ricominciare daccapo. Senza dimenticare tutto ciò che sappiamo.