Io e il mio papà

Senza di noi, l'eredità dei nostri padri sarà più povera. Occorre quindi cercare, con umiltà, di alleggerire il peso dei loro errori, forse correggerne qualcuno. L'editoriale di JONAH LYNCH

Mio padre era giovane. Bello, forte, sapeva spaccare la legna con l’ascia con un colpo solo, e quando tornava a casa dal lavoro ogni tanto prendeva mia madre in braccio e la faceva volteggiare per la stanza. Sapeva la risposta a tutte le domande. Una domenica a messa il prete lesse quella pagina in cui Pietro chiede a Gesù quante volte deve perdonare. Tornai a casa sbalordito dalle cifre: “Papà, quante volte sono settanta volte sette?”. Subito la risposta: “Quattrocentonovanta”. Era incredibile, mio papà.

Era giovane, ma ora è vecchio. Quando lo porto in macchina devo andare piano, perché non stia male. Quando passeggia sulle colline, a volte si deve sedere per riprendere fiato. Adesso, di frequente, non sa le risposte, e quelle che dà suonano provvisorie: ipotesi piene di polvere in attesa di essere purificate nel fuoco della grazia che deve arrivare, prima o poi.

Non ricordo l’ultima volta che ha preso mia madre in braccio. 

Mio padre è vecchio: cosa devo fare allora? Dire che è inutile? Sputare sulla sua testa grigia, e sul popolo nato da lui? 

Non devo forse curare il mio vecchio padre? Non è piuttosto mio compito portare il sacro fuoco che lui mi ha acceso, infiammare coloro che incontro, dare loro la luce e il calore che lui ha dato a me? E’ mio compito usare le sue parole con rispetto e gratitudine, cosciente che nonostante le sue imperfezioni, non sarei nulla di ciò che sono senza di lui. 

D’altra parte, senza di me, la sua eredità sarà più povera. Quindi occorre anche cercare, con umiltà, di alleggerire il peso dei suoi errori, forse correggerne qualcuno. Sorridere bonariamente alle sue debolezze, e offrire la forza delle mie giovani braccia per supplire alle sue. 

Sto parlando di mio padre, Stephen, e anche dei miei insegnanti, i miei parroci e gli autori che ho amato. E dell’America, e dell’Italia. E della Chiesa, e dei giganti che si trovano in essa. 

Sto parlando di tutto ciò che mi ha generato e tutto ciò che ci genera in questo momento drammatico della storia del nostro popolo. Di ciò che accogliamo con gratitudine e ciò che siamo chiamati a consegnare con lieta responsabilità al futuro.

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