Nella vicenda di Loris il grande assente è Dio. Non una preghiera, non una imprecazione, non una parola di conforto da parte dei preti è trapelata dalla copiosa informazione che riempie giornali e televisione in questi giorni. E con questa assenza la tristezza è ancora più fonda.
“Lasciatevi consolare da Dio” raccomandava l’altro ieri papa Francesco all’Angelus, sull’eco delle parole di Isaia e notando come l’uomo preferisca chiudersi nella tristezza piuttosto che aprirsi alla consolazione che viene da un Altro. Un Altro misterioso, che fa la piaga e la guarisce, ferisce e la sua mano risana. Un Altro, per le cui piaghe siamo stati guariti.
Perché di fronte a questo e ad altri drammi, non ci sono parole, c’è solo il Crocifisso, dolce ad amare. Ma se uno ha il coraggio di sollevare lo sguardo dalle proprie e altrui miserie fino a lì, poi può trovare poche parole di compassione e di pietà per le vittime e per i colpevoli.
Queste parole finora sono mancate, in mezzo alle tante che sono state spese per le indagini e le illazioni. Poco importa cercare il perché. Resta il fatto, doloroso, di un silenzio che parla più di freddezza che di pudore. La carità è infatti talvolta impura, come lo è ogni atto umano, quando non sia gelido come il marmo.
Nessuna parola per quel piccolo corpo da giorni solo all’obitorio, in attesa del suo funerale.
Nessun richiamo ai compaesani arrabbiati per l’invasione dei giornalisti.
Nessun conforto ai famigliari, stretti nella casa sulla quale è calata la tragedia.
Il peccato di omissione lo confessiamo tutti, all’inizio della Messa, ma qui si misura anche l’aggravio di tristezza che pesa sulla vita intrisa di morte, quando le venga a mancare una timida ma resistente parola di speranza.