Un fantasma si aggira in Europa. Alcuni lo chiamano antipolitica, altri postpolitica. Ha caratteristiche e nomi differenti, ma rappresenta comunque il malcontento.
In Italia si chiama Movimento 5 Stelle e ha tenuto in scacco l’opinione pubblica per settimane: c’è stato bisogno di molta energia e creatività per formare un governo che l’affrontasse.
Nel Regno Unito si chiama Ukip e ha trasformato l’antieuropeismo nella terza forza alle elezioni amministrative della settimana scorsa. In Grecia si chiama Syriza, in Francia Le Pen, in Olanda Geert Wilders, in Finlandia Veri Finlandesi. La lista è molto lunga e raggruppa fenomeni molto differenti.
In alcuni casi il malcontento sfocia in partiti che hanno una struttura classica e che si alimentano del malessere che provocano l’Unione europea, gli immigrati o le soluzioni date alla crisi. Si nutre della xenofobia, di idee di ultradestra o di ultrasinistra.
In altri casi semplicemente scende in strada in modo pacifico o violento, come gli indignados di Madrid. L’anno prossimo si terranno le elezioni europee ed è possibile che tutte le formule di protesta finiscano per avere un’importante rappresentanza nel Parlamento di Strasburgo.
C’è chi non vuole dar importanza all’argomento, convinto che la cosa passerà: quando l’Europa tornerà a crescere, assicurano, il fantasma svanirà e tutto tornerà a essere come prima. Com’è stato dalla metà del secolo scorso.
Ma è molto probabile che niente torni a essere come prima e che la disaffezione verso i partiti tradizionali aumenti nel tempo. Bisogna per questo avere paura della gente? Cosa fare di fronte alla minaccia del populismo? Il caso della Spagna è molto significativo. C’è voluto molto tempo per ristabilire la democrazia e il sistema dei partiti è di 25-30 anni più giovane rispetto al resto dell’Europa Occidentale. Ma gli ultimi sondaggi segnalano una disaffezione crescente verso i due principali partiti. Il Pp e il Psoe sono ai minimi storici, mentre aumenta il consenso verso i partiti minori.
I sondaggi evidenziano, soprattutto, un aumento dell’astensione. Alcuni analisti come Valentí Puig dicono che presto conosceremo il Beppe Grillo spagnolo. I radicali disposti a ricorrere alla violenza sono una minoranza, ma sarebbe irresponsabile non fare i conti con la sensazione di fastidio che domina in quasi tutta l’opinione pubblica.
La democrazia spagnola aveva bisogno di partiti forti dopo quasi 40 anni di dittatura.
E la Transizione stabilì un sistema elettorale che favoriva lo sviluppo di partiti forti.
Dai partiti forti si è passati presto ai partiti ermetici, che tendono a essere autoreferenziali. Uno dopo l’altro, i sondaggi sottolineano che gli spagnoli considerano i politici come il secondo o il terzo problema del Paese. Nove su dieci non hanno fiducia nei principali leader politici. La reazione, tanto dei socialisti quando dei popolari, di fronte allo scontento non è all’altezza della situazione. I socialisti hanno proposto di eleggere attraverso le primarie il proprio candidato Premier.
Ma non fanno sul serio, dato che la formula deve essere approvata in un Congresso ed è molto probabile che non ce la faccia. Hanno utilizzato queste dichiarazioni come esca per distrarre dalla crisi che stanno attraversando dalle dimissioni di Zapatero.
Nemmeno la reazione del Pp è buona. La direzione del partito non riceve con interesse le idee suggerite da alcuni dei suoi membri per avvicinare la politica alla gente. Il deputato Eugenio Nasarre ha proposto un sistema di elezione diretta dei sindaci, ma non è stata presa in considerazione.
A Madrid il partito sta per avviare una riforma elettorale nel parlamento regionale affinché un terzo dei deputati venga eletto direttamente dai votanti, con un sistema simile a quello della Germania.
Il Pp di Estremadura vuole provare a utilizzare le liste aperte. Ma la direzione nazionale guarda con sospetto a tutte queste iniziative.
In una recente riunione tenutasi a San Sebastián, la direzione del centrodestra ha affrontato il tema (i politici) “Ci rappresentano?”. La segretaria generale del partito, María Dolores de Cospedal, ha risposto in modo forte alla questione: i movimenti sociali, se vogliono avere peso in democrazia, devono presentarsi alle elezioni.
Gli unici che rappresentano i cittadini sono i partiti. Il Pp ha chiuso troppo presto il dibattito.
Certamente la rappresentatività viene data dalle urne.
È evidente che la demagogia, il populismo e persino la violenza di alcuni gruppi che si impossessano delle piazze e vogliono condizionare la vita pubblica non è legittima.
Ma una democrazia consolidata ha molte forme di partecipazione, è “porosa” e disposta a raccogliere i contributi che possono arrivare dalla società civile, quando è realmente una società e non un’illusione creata dai social network.
Bisogna essere ciechi per non vedere che la gente è stufa della partitocrazia.
La cosa peggiore che potrebbero fare i partiti in Spagna e in Europa sarebbe chiudersi ai veri movimenti sociali.