2015, l’emergenza da risolvere

Non è possibile riassumere un anno di un mondo così multipolare in poche righe. FERNANDO DE HARO ci prova, evidenziando il grande problema attuale globale: l'identità

Non è possibile riassumere un anno di un mondo così multipolare in poche righe. Volendo provare a farlo possiamo dire che l’Occidente continua a essere uno dei protagonisti della scena, ma altri attori sono comparsi, rendendo difficile un ripasso di quanto accaduto negli ultimi mesi. 

Forse la cosa più sorprendente è che l’economia non serve a interpretare quello che ci stiamo lasciando alle spalle. Nemmeno la forte ripresa degli Stati Uniti, la minor crescita della Cina, la minaccia di una seconda recessione in Europa, la normalizzazione dell’America Latina dopo il periodo di boom, la caduta del prezzo del petrolio o la svalutazione del rublo sono sufficienti a spiegare quanto successo.

In un mondo globale, in cui le nuove tecnologie e certe abitudini di consumo sono diventati i connotati distintivi di molti membri della specie umana, l’agenda è stata segnata dai problemi di identità.

Il cosiddetto Califfato dello Stato Islamico controlla ampie zone di Siria e Iraq da questa estate. È stato uno dei protagonisti di quest’anno per via delle sue atrocità. Il suo sviluppo ha molto a che fare con gli errori commessi dall’Occidente e con il supporto finanziario di Qatar e Arabia Saudita. Ma il suo triste successo si deve, fondamentalmente, all’aver sollevato la bandiera dell’orgoglio nella comunità islamica. 

Il nuovo Califfato, che succede a quello smantellato da Ataturk, offre una soluzione rapida a decine di migliaia di persone che cercano un’identità, chiara e trionfatrice. È lo stesso fenomeno che favorisce l’estensione del jihadismo in Africa e che attrae i giovani europei nichilisti, che arrivano ad arruolarsi nella Guerra Santa. La religione serve come pretesto per promuovere una personalità violenta che sfida il vecchio ordine nella regione. La guerra tra sunniti e sciiti si reinventa, alleati e nemici cambiano (Iran, Stati Uniti).

La crisi provocata dall’invasione della Crimea, la guerra ucraina e il crescente nazionalismo russo sono stati l’espressione di un nuovo imperialismo di Mosca. Putin strumentalizza i segni di identità slava per far dimenticare la mancanza di qualità democratica e le difficoltà economiche di un Paese che ricorda la grandezza del passato. Di fatto starebbe alzando la testa dopo 25 anni di umiliazioni, compresi l’ingresso nella Nato di quasi tutti i paesi dell’ex Patto sui Varsavia e il programma di privatizzazioni imposto dal Fmi. Lo slavo che ascolta questo discorso torna a sentire il sangue scorrere nelle sue vene.

Nel frattempo, la vecchia Europa – e anche la nuova, quella che è entrata nell’Unione dopo la caduta del Muro – non vuole già più essere Europa. Il risultato delle elezioni del Parlamento di Strasburgo è stato uno schiaffo in faccia a Bruxelles. “Vogliamo essere comunisti, populisti di sinistra, nazionalisti, persino razzisti: tutto tranne che cittadini europei”, hanno detto milioni di elettori che non ricordano più il miracolo della ricostruzione post-bellica, che non si riconoscono nell’universalità dell’Illuminismo, né nell’apertura o nell’accoglienza del migrante. Siamo al particolarismo identitario. 

Alcuni dicono che è colpa della crisi. Ma il marxismo interpretativo usato ora dai liberali non riesce a spiegare cosa accade nel Vecchio continente, né quel che succede negli Stati Uniti. A casa dello Zio Sam il Pil cresce a ritmo sostenuto, ma una polarizzazione politica senza precedenti sfida sia la destra che la sinistra.

I problemi di identità affliggono anche l’India, la più grande democrazia del mondo, la grande promessa dell’Asia. E in Pakistan è scoppiata una guerra civile tra i talebani e l’esercito. L’Hong Kong che vuole essere democratica è stato schiacciata da un regime che accetta un solo modo di essere cinesi.

Per fare un punto sintetico dell’anno, la necessità che ogni abitante del pianeta ha di sapere chi è si presenta come la terza grande forza: insieme alla traslazione e alla rotazione è ciò che muove la Terra in questo inizio di XXI secolo. Ciò che sorprende è che questo desiderio di avere un volto tiene poco conto delle esigenze della ragione. Accetta quasi acriticamente qualsiasi tipo di appartenenza. Sintomo di una vera e propria emergenza.

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