Salviamo il Darfur

Siamo di fronte al rischio concreto di una catastrofe umanitaria, se facciamo solo una passo indietro la crisi nel Darfur si dimostrerà di proporzioni immani e milioni di persone continueranno a vivere quotidianamente nel terrore della fame e della morte

«È una liberazione che premia uno sforzo comune, uno sforzo di tutte le autorità, anche locali, che ovviamente hanno lavorato sin dal primo minuto».

 

La notizia della liberazione dei quattro membri di Medici Senza Frontiere Belgio rapiti mercoledì scorso nel Nord Darfur annunciata sabato dal Ministro degli Esteri Franco Frattini riempie di fiducia tutta la comunità internazionale nella difficile prospettiva di voltare pagina e incominciare una nuova politica per il Darfur che rappresenta una delle più gravi, e purtroppo ignorate, tragedie umanitarie in corso nel continente africano.

Lo ha sottolineato già qualche giorno fa Barack Obama: è «inaccettabile» l’espulsione dal Darfur delle Ong da parte del Sudan, frutto del mandato di arresto che la Corte Penale Internazionale dell’Aia (Cpi) ha inviato conto il presidente sudanese Omar Al Bashir, per crimini di guerra e contro l’umanità commessi nella regione. Per questo «è importante dalla nostra prospettiva inviare un messaggio internazionale forte e unito che non è accettabile mettere a rischio le vite di molte persone, che dobbiamo essere in grado di far tornare sul terreno queste organizzazioni umanitarie».

 

Siamo di fronte al rischio concreto di una catastrofe umanitaria, se facciamo solo una passo indietro la crisi nel Darfur si dimostrerà di proporzioni immani e milioni di persone continueranno a vivere quotidianamente nel terrore della fame e della morte. È più che mai necessaria l’azione di tutti per contrastare il fanatismo politico e religioso dei seguaci di Al Bashir.

Anche il Parlamento europeo su iniziativa di 10 membri del Ppe ha approvato una Risoluzione nella quale ribadisce come dopo l’emissione del mandato di arresto, il governo del Sudan ha ripetutamente rifiutato di cooperare con il Tpi e ha anzi moltiplicato gli atti di sfida nei confronti del Tribunale e della comunità internazionale, condanna fermamente l’espulsione di 13 agenzie umanitarie da Khartum in reazione al mandato di arresto internazionale emesso dal Tpi contro il presidente del Sudan Omar Hassan Al-Bashir il 4 marzo 2009, ribadisce di sostenere e rispettare pienamente il Tpi e il suo ruolo chiave nella promozione della giustizia internazionale, nel superamento del clima di impunità per i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra e nel rispetto del diritto umanitario internazionale, nonché alla luce della sua decisione di emettere un mandato di arresto contro il presidente del Sudan Omar Hassan Al-Bashir, accusato di aver commesso crimini contro l’umanità e crimini di guerra in Darfur, esprime profonda preoccupazione per l’impatto immediato di tali espulsioni sulla fornitura di aiuti umanitari vitali per centinaia di migliaia di persone, esige che il governo del Sudan annulli con effetto immediato la sua decisione di espellere le 13 agenzie umanitarie e consenta a queste ultime di proseguire le loro attività, essenziali per la sopravvivenza delle popolazioni vulnerabili del Darfur; invita il Consiglio e la Commissione a intensificare gli sforzi nei confronti dell’Unione africana, della Lega araba e della Cina perché convincano il governo sudanese a procedere in tal senso.

La Risoluzione chiede inoltre all’Ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite e al Tpi, qualora il Sudan non proceda all’annullamento della decisione di espellere le agenzie umanitarie, di valutare se tale decisione implichi una violazione dei diritti umani fondamentali e possa essere considerata come un crimine di guerra.

Molto importante poi il passaggio in cui chiede al procuratore del Tpi di precisare che, qualora in Darfur vengano commessi atti di violenza nei confronti di membri delle forze di pace, agenzie umanitarie o campi, il Tpi indagherà sui responsabili, che rischieranno di essere accusati di crimini di guerra al pari di Al-Bashir.

La Risoluzione si conclude con l’esortazione al governo del Sudan sia ad adottare misure concrete per garantire che i difensori dei diritti umani in Sudan non siano perseguitati qualora esprimano il proprio sostegno alla decisione del Tpi, sia ad astenersi da qualunque angheria o intimidazione nei loro confronti.

Non un passo indietro quindi rispetto alla decisione di condannare il criminale di guerra Al Bashir. Allo stesso tempo la riapertura di centri per la riabilitazione delle vittime di violenza e il ritorno delle Ong deve costituire la nostra priorità.

Le agenzie umanitarie in Darfur stanno gestendo la più grande operazione umanitaria del mondo: secondo i dati delle Nazioni Unite, 4,7 milioni di persone, tra cui 2,7 milioni di sfollati interni, necessitano di assistenza, l’espulsione delle agenzie umanitarie porterebbe a un incremento della mortalità e della morbosità a causa dell’interruzione dei servizi di assistenza sanitaria e di epidemie di malattie infettive come dissenteria e malattie respiratorie.

Anche il Governo sudanese deve comprendere che questo sporco ricatto è in realtà soltanto una condanna a morte per milioni di sudanesi innocenti, per questo prima di tutto un atto di ignoranza politica, oltre che autolesionismo. 

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