Con i suoi quasi 80 milioni di abitanti e la sua centralità culturale e geo-politica l’Egitto è la chiave di volta del mondo arabo. Con la sua minoranza cristiana, soprattutto copta, almeno il 10 per cento della popolazione, l’Egitto è poi un Paese che non può prescindere dal problema numero uno dell’islam: ovvero la sua drammatica difficoltà a far proprio quel principio della laicità dello Stato che entrò nella storia con Gesù Cristo e il suo “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. Se poi è vero come è vero che per l’Europa di oggi riaprirsi al Mediterraneo è questione di cruciale importanza, e che l’Italia è il capofila designato di tale processo, diventa allora chiaro che l’esito delle elezioni presidenziali che si sono concluse ieri sera in Egitto è della più grande importanza non solo per gli egiziani ma anche per noi.
Le condizioni generali del Paese non consentono il rapido accertamento dell’esito del voto cui si è ormai abituati in Occidente. Se poi nessuno dei candidati raccogliesse la maggioranza assoluta dei consensi gli egiziani dovrebbero tornare alle urne per un turno di ballottaggio i prossimi 16-17 giugno. Non è dunque un risultato già ben conosciuto quello che possiamo commentare. Possiamo però valutare le conseguenze dell’eventuale vittoria di questo o quello tra i candidati più forti.
La nuova Costituzione democratica con la quale l’Egitto si è messo alle spalle i trent’anni della dittatura del generale Hosni Mubarak non precisa molto chiaramente quali siano i poteri del Presidente della Repubblica. Tale indeterminatezza può tuttavia giocare sia nel senso di una loro limitazione che in quello di un consistente ampliamento. E questa seconda ipotesi è la più probabile anche tenuto conto del grande peso simbolico della carica di capo dello Stato nella tradizione egiziana. In questo caso tutti gli spazi di libertà e di democrazia effettiva che sono oggi realisticamente possibili in Egitto sarebbero l’esito del bilanciamento fra il potere del Parlamento, recentemente eletto, e il potere del Presidente della Repubblica. Tenuto allora conto che in tale Parlamento i deputati di orientamento islamista (pur con varie sfumature) sono la maggioranza, in teoria l’ideale sarebbe che il nuovo Presidente della Repubblica fosse un “laico”, nei limiti che questo termine può avere in tale situazione. Di qui la diffusa simpatia della stampa internazionale per Amr Moussa, a lungo segretario della Lega Araba, diplomatico di grande esperienza ed equilibrio. Per averlo potuto ascoltare sia in pubblico che in privato personalmente me ne sono fatto un’ottima impressione anche se non lo si può esattamente definire un uomo nuovo visto che per dieci anni (1991-2001) fu ministro degli Esteri di Mubarak.
I sondaggi lo davano ai primi posti nelle preferenze degli egiziani a brevissima distanza dal candidato più forte, l’ex leader dei Fratelli Musulmani Abdul Moneim Abu Fotu. Siccome i Fratelli Musulmani avevano deciso di non presentare un proprio candidato alle elezioni presidenziali Abdul Moneim Abu Fotu, che apparteneva alla loro ala per così dire “moderata”, è uscito dal partito e si è candidato in proprio. A parte le simpatie della stampa internazionale resterà poi da vedere se gli egiziani hanno preferito l’uno o l’altro. Ad ogni modo il fatto stesso che siano loro due ai primi posti conferma che anche l’elettorato pensa all’ipotesi di un bilanciamento tra un Parlamento a maggioranza islamista e un Presidente di altro orientamento.
Ci sono poi altri due candidati in lizza senza grandi speranze di successo, ma destinati comunque a risultati di rilievo: l’attuale leader dei Fratelli Musulmani Mohammed Mursi, sceso in campo obtorto collo per fare comunque concorrenza ad Abdul Moneim Abu Fotu, e Ahmed Shafiq, il candidato delle Forze Armate. I consensi che quest’ultimo raccoglierà serviranno in ogni caso a dare anche una certa base popolare alla presenza dei militari nella vita pubblica del Paese: qualcosa che comunque il nuovo Egitto del dopo-Mubarak non può realisticamente ignorare, tanto più che con le loro fabbriche militari e con i loro investimenti nei più diversi settori le Forze Armate hanno anche tra le altre cose un ruolo di primo piano nell’economia egiziana.