Mentre è in atto la battaglia nel Partito Repubblicano per la candidatura alla presidenza degli Stati Uniti, appare chiaro che l’immigrazione illegale sarà una delle questioni su cui i candidati concentreranno le critiche alla Amministrazione Obama.
Nel frattempo, il presidente comincia a esplicitare alcuni elementi di una politica diretta ad attrarre gli ispanici e le altre minoranze, senza allontanare completamente gli elettori che si oppongono fermamente a ogni politica che sembri minimizzare la gravità del problema e la conseguente minaccia per la sicurezza e la sovranità nazionale.
In un articolo di prima pagina sul New York Times (30 maggio 2011), la giornalista Julia Preston descrive come il presidente Obama stia abbandonando l’impostazione di George W. Bush, centrata sull’arresto, l’incarcerazione o l’immediata espulsione dei clandestini che lavorano senza documenti, mettendo in pratica invece una politica di crescenti e pesanti multe per i datori di lavoro che impiegano immigrati clandestini. Le pene prevedono multe in crescita esponenziale, fino alla prigione.
In una recente azione contro questo tipo di datori di lavoro, sono stati arrestati 42 lavoratori e sequestrati libri contabili e altri documenti. Tuttavia, all’avvio del processo, nessun lavoratore è stato portato davanti al giudice, mentre sono stati processati il proprietario dell’impresa e il suo contabile. Se riconosciuti colpevoli di tutte le accuse, la condanna potrebbe essere di 80 anni di galera (si confronti tutto ciò con l’azione ordinata dall’Amministrazione Bush in Iowa, dove 300 clandestini furono arrestati e portati, pubblicamente ammanettati, in una prigione federale).
Cosa dobbiamo pensare? Occorre ricordare che, a differenza dell’Europa, gli Stati Uniti sono una nazione composta da immigrati e che ha sempre invitato gli immigrati alla ricerca della libertà a eleggervi la propria dimora. Allo stesso tempo, però, nessuna nazione può sopravvivere con i propri confini totalmente aperti. Si deve perciò trovare un modo per cui questo invito sia conciliabile con la necessità di confini sicuri. La natura di questo processo di conciliazione sta dando luogo a un serio scontro culturale tra gli americani.
Sebbene il dibattito si riferisca a tutti gli immigrati, le preoccupazioni maggiori riguardano gli immigrati ispanici o latinos, in continuo crescente aumento. Coloro che insistono sull’applicazione di norme più severe sull’immigrazione sono allarmati dalla eventualità di una società bilingue che possa mettere a repentaglio la cultura angloamericana tanto lodata recentemente dal presidente Obama e dalla Regina Elisabetta.
Dietro questa preoccupazione vi è anche un fattore religioso, e cioè lo scontro tra cultura cattolica e protestante.
La ricerca di una equa politica sull’immigrazione non può tralasciare l’importanza di questo aspetto. Chi dice che si tratta di una questione privata che non ha niente a che fare con la politica pubblica difetta di realismo, accecato dalla interpretazione dominante del principio della “separazione tra Chiesa e Stato”. I cattolici, che rigettano questo dualismo tra fede e cultura, hanno qui una particolare opportunità di dimostrare l’armonia tra la fede e la libertà che soddisfa i desideri costitutivi del cuore che ci fa umani.