Lavoro, il pubblico che fa?

La riforma del lavoro, spiega STEFANO COLLI-LANZI, appare come una incompiuta, rimasta in mezzo al guado. Tutto questo mentre la crisi morde e si fa sentire sui livelli occupazionali

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La crisi che stiamo attraversando non sarà breve e richiederà un cambiamento strutturale nel modo di pensare il lavoro. E la situazione in cui si trova l’economia reale, stretta nella morsa del credit crunch e della mancanza di liquidità, non aiuterà l’occupazione, anzi, i dati sono destinati a peggiorare. Per aumentare la produttività del mercato del lavoro e contrastare la disoccupazione sarà importante trovare un modo efficace per unire il pubblico e il privato nella definizione dei servizi al lavoro. Un tema cruciale, questo, che dovrà essere affrontato nei prossimi mesi, perché la riforma del lavoro non si è espressa in proposito. Riforma che appare “incompiuta”, rimasta in mezzo al guado, all’insegna del “vorrei, ma non posso”.

Si puntava infatti a costruire un sistema più flessibile in uscita, magari anche costoso per le imprese, ma che in cambio garantisse certezza. Questo obiettivo è stato raggiunto parzialmente. C’è sì un’evoluzione nell’articolo 18, con un maggior ruolo dato all’indennizzo, ma non si è avuto il coraggio di disciplinare con chiarezza i licenziamenti economici, con la completa eliminazione della reintegrazione.

Un altro esempio di “incompiuta” riguarda l’introduzione della procedura di conciliazione obbligatoria: la riforma la presenta come estremamente rapida e con la possibilità di ridurre il ricorso al giudice, ma si limita solamente a suggerire al suo interno l’utilizzo del supporto alla ricollocazione professionale. Se c’è un impegno che un’azienda che licenzia dovrebbe prendersi è proprio quello di cercare di porre rimedio alla problematica che crea, sostenendo la ricerca di una nuova occupazione per il lavoratore. Più che suggerire, sarebbe stato meglio incentivare questo tipo di politica attiva del lavoro.

Sarebbe poi importante arrivare, come auspicato dal ministro Fornero, a una parificazione della disciplina di licenziamento tra dipendenti pubblici e privati: restituirebbe credibilità a tutto il lavoro dipendente e darebbe un segnale importante sulla progressiva responsabilizzazione delle persone, più che mai necessaria in questo momento di crisi.

Ma oltre che sul lato dell’uscita, penso che anche nel disciplinare l’ingresso nel mercato del lavoro si sia persa una grande occasione. Oltre a “punire” alcune forme contrattuali spesso usate in maniera distorta, ci si sarebbe potuti focalizzare sulle migliori forme contrattuali flessibili, ovvero il lavoro a termine e, soprattutto, quello somministrato. Quest’ultimo garantisce più sicurezza al lavoratore, grazie alla presenza dell’Agenzia per il lavoro che può tutelarlo nei passaggi da un’occupazione all’altra. Purtroppo non è stata creata una vera differenziazione tra queste due forme contrattuali e, considerando che non sono state coinvolte nel processo di formulazione della riforma, non si è forse creduto nel ruolo che nell’evoluzione del mercato del lavoro possono avere le Agenzie per il lavoro.

Per fortuna con la riforma si è riusciti a razionalizzare gli ammortizzatori sociali e a rafforzare l’apprendistato, che penso possa aiutare a contrastare la crescente disoccupazione giovanile e l’utilizzo distorto di alcune forme contrattuali. Per aiutare i giovani sarà altresì importante finanziare politiche attive di orientamento pubblico-privato sulla base dei risultati raggiunti, come qualche Regione sta già facendo.

Per qualche anno ancora dovremmo convivere con la crisi. Per riuscire a sfruttare al meglio ogni minima inversione positiva del ciclo economico sarà fondamentale avere degli intermediari capaci di aiutare il mercato del lavoro con orientamento, supporto al ricollocamento e la flessibilità della somministrazione. Noi siamo pronti a fare la nostra parte. E il pubblico?

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