Parigi vista da Mosca

I fatti di Parigi hanno riaperto a Mosca la ferita ancora sanguinante della sciagura aerea che ha colpito qualche settimana fa il Paese. Che cosa fare della paura? GIOVANNA PARRAVICINI

I fatti di Parigi hanno riaperto a Mosca la ferita ancora sanguinante della sciagura aerea che ha colpito qualche settimana fa il Paese. La conferma ufficiale di Putin, che si è effettivamente trattato di un atto terroristico, è giunta come una notizia scontata: tutti ormai ne avevano la certezza. E la gente si trova oggi a fronteggiare una paura che serpeggia ovunque nella capitale: in seguito a telefonate anonime che avvertivano di ordigni sono stati evacuati edifici pubblici come alberghi e stazioni, lo scorso week-end sono circolate voci (poi smentite) secondo cui si raccomandava di non viaggiare in metro o recarsi in luoghi affollati, centri commerciali e così via.



Il clima di malcelata paura, di diffusa insicurezza contrasta con lo sfoggio esteriore di grandezza e potenza, che trova uno dei suoi simboli – proprio in questi giorni – nella piazza Rossa imbandierata per la festa dell’Unità popolare, e nella mostra sfarzosamente allestita al Maneggio, lo spazio espositivo più prestigioso e centrale di Mosca: «Dalle grandi prove alle grandi conquiste». Le «grandi prove» sono la prima guerra mondiale e il crollo dell’impero russo, nel ‘17, le «grandi conquiste» sono il gigantesco incremento della potenza sovietica, fino all’apoteosi della vittoria del 1945.



Questo contrasto fra insicurezza e strafottenza lo si avverte come un urto ancor prima di raggiungere l’ingresso della mostra, percorrendo la grande piazza antistante tutta transennata secondo un percorso rigidamente fissato (probabilmente pensando a grandi masse di visitatori), con militari schierati ogni 50 metri che ti guardano le spalle, dandoti immediatamente l’impressione di poter essere ad ogni istante un bersaglio. Poi, entrando nella mostra, organizzata dal Consiglio per la cultura del Patriarcato di Mosca, il primo effetto è quello di trovarsi una gigantesca sala giochi rutilante di luci e di slot machines; quando si comincia a districarsi tra pannelli luminosi, video, gigantografie, ci si accorge che a vescovi perseguitati dal regime come Luka Vojno-Jaseneckij vengono messe in bocca parole di ammirazione per Stalin, o che si estrapola da Arcipelago Gulag una frase che suona come un elogio ai tempi di realizzazione del canale Mar Bianco-Mar Baltico, mentre in realtà Solženicyn denuncia lo spietato sfruttamento e annientamento di migliaia e migliaia di «schiavi» nel corso della sua costruzione. E così anche i martiri, cui è dedicata una sezione della mostra, diventano paradossalmente una delle «conquiste» dello stalinismo: in fondo – si sarebbe portati a concludere seguendo la cinica logica dell’esposizione – senza le persecuzioni messe in atto dal regime, la Chiesa oggi non potrebbe vantare tutta questa ricchezza di santità…



Anche davanti agli atti terroristici di Parigi c’è chi ha puntato il dito accusatore contro i «valori sbagliati» esistenti nella società occidentale, contro la sua tolleranza, apertura ai migranti e così via. Ma alla domanda della gente, sempre più disorientata, su come si fa a continuare a vivere, vi sono anche risposte diametralmente opposte. Risposte che ci fanno vedere una luce in fondo al tunnel.

Ad esempio, un giovane sacerdote ortodosso, padre Oleg Batov, ha postato sulla sua pagina Fb: «Sono tanti quelli che in questi giorni sono venuti ad accendere una candela in memoria della vittime degli attentati a Parigi e a Beirut, in Egitto e in Israele. Candele che riflettono la luce e la fiamma interiore del dolore, della compassione e della preghiera. Ma le candele a volte smoccolano e fumigano. Per il fuoco interiore della fede la cosa più tremenda è la fuliggine della paura e il moccolo dell’odio… La prova che stiamo attraversando rappresenta indubbiamente una sfida per la nostra fede, per la serietà della nostra scelta cristiana. Cristo non si è mai attardato sulla natura del male, non ha perso tempo a vedere se il cieco nato era tale per i peccati suoi o quelli dei suoi genitori; ha invece mostrato ai discepoli che occorre cercare di diminuire le conseguenze del male… È quello di cui moltissimi oggi hanno bisogno. È impossibile oggi non avere paura per i propri cari. Ma il cristiano ha il diritto di non prendersi a cuore solo la propria vita. Altrimenti scivoliamo nella logica dei terroristi. Cristo si è offerto in sacrificio per la vita del mondo. È importante non rinunciare a questa vita in pienezza, non abbandonarsi a un terrore paralizzante, ricordare che non a caso fede e fiducia hanno la stessa radice».

Una cara amica, Tat’jana Krasnova, ha scritto: «Ho paura. Che cosa posso fare con la mia paura? La cosa più semplice sarebbe trasformarla in odio. Ma bisogna provare invece a trasformarla in amore. Nei confronti di tutto quello a cui puoi arrivare. Alla fin fine, c’è una cosa che capisco bene: per la mia “malattia”, solo questo amore mi può servire. Nelle cose concrete, nei bisogni che incontriamo, nel dolore in cui ci imbattiamo. Tenetevelo a mente, per favore. Avrete qualcosa da rispondere quando vi chiederanno che cosa avete fatto per migliorare il mondo…».

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