Troppe speculazioni politiche

Nella crisi della Grecia, l’Europa ha dimostrato che responsabilità e solidarietà possono andare a braccetto favorendo il bene di tutti

Da qualche tempo, partecipando in sede europea a continue riunioni e dibattiti istituzionali che hanno come tema all’ordine del giorno il salvataggio della Grecia, mi sto sempre più convincendo che il modo migliore per combattere la speculazione finanziaria sia quello di combattere prima di tutto la speculazione politica.



Trovo alquanto ingenerose e immotivate la maggior parte delle critiche arrivate da più parti nei confronti dell’Europa e in particolare della Germania, per quanto concerne le misure appena approvate in favore di Atene. Ho provato effettivo rammarico nel vedere i socialisti tedeschi astenersi sul provvedimento del Governo tedesco che sosteneva la solidarietà dopo aver visto il capogruppo socialista Martin Schulz che durante il dibattito al Parlamento europeo si accaniva contro la “campionessa di egoismo” Angela Merkel perché non approvava subito le misure salva-Atene.



L’approvazione del prestito alla Grecia da parte della Germania, per usare le parole di un articolo dell’ex ministro Tommaso Padoa-Schioppa apparso qualche tempo fa sul Corriere della sera, “è un atto di grande coraggio politico e non può stupire che sia stato arduo arrivarci”. La solidarietà messa in campo oggi non è quindi un desiderio utopico che nasce dalla scellerata voglia di mantenere un inutile status quo.

È il frutto di una storia fatta di tragici errori che sono stati pagati a caro prezzo, ma che è anche la storia di chi, per accrescere il benessere di un continente intero, ha rinunciato a una grossa fetta di quel benessere. Nessun egoismo e nessuna perdita di tempo pre-elettorale. La Germania non ha mai desiderato il crack della Grecia, ha soltanto preteso che la parola solidarietà facesse rima con responsabilità.



Allo stesso modo chi continua a sparare a zero in modo distruttivo e incauto contro le istituzioni comunitarie, seppur certamente non immuni da colpe ed errori di valutazione soprattutto nel periodo coincidente l’introduzione della moneta unica europea, non rende giustizia a chi si prodiga quotidianamente per il benessere dei cittadini.

Ma non rende giustizia nemmeno a un’invenzione, l’Europa unita, che da 60 anni ci regala la pace. Parola che abbiamo dimenticato, ma un fattore che non deve sfuggire a chi con molta leggerezza continua ad auspicare il fallimento della Grecia. È vero, nel secolo scorso circa una ventina di Stati hanno dichiarato il proprio fallimento. Anche ammesso che tutti quanti siano rinati migliori di quanto lo fossero in precedenza, non può sfuggire la considerazione che non di rado il contributo maggiore alla ripresa è stato dato dallo sforzo teso a preparare eventi bellici.

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Non dimentichiamo mai che l’Unione europea è il risultato di un patto permeato interamente dal motto “mai più la guerra”. Anche per questo mi verrebbe da rispondere con una provocazione molto semplice ai paladini del realismo che considerano un’inutile retorica europeista la difesa dell’unità europea in un momento di estrema difficoltà economica: provate a vivere senza Europa.

 

Vero invece che è stato probabilmente un errore fare l’euro senza far precedere questa iniziativa da una maggiore integrazione politica e dall’acquisizione di competenze tese all’armonizzazione di welfare e fisco. Vero anche che spesso la già citata retorica europeista ha coperto l’immobilismo dei governi e la mancanza di leadership di presunti statisti. Ma l’alternativa non è meno Europa, ma più Europa. Più Europa da giocare su partite essenziali: quelle cioè capaci di fare del nostro continente un competitore reale sullo scacchiere globale.

 

Ultima annotazione, questa si un po’ retorica, considerata la coincidenza dei 60 anni della “dichiarazione Schuman”. Non credo che se allora si fosse svolto un referendum o più semplicemente un sondaggio tra francesi e tedeschi i popoli di queste due nazioni avrebbero accettato di buon grado l’idea di una riappacificazione e addirittura il tentativo di un progetto comune. Chi governava Francia e Germani in quegli anni non ha cercato il consenso, ma il bene del proprio popolo. Non sempre le due cose coincidono. Saper dosare i due fattori è la vocazione della politica.

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