Un evento di grazia, la visita di Benedetto XVI nella Chiesa di San Marino-Montefeltro, che ha investito tutta la società sanmarinese e feretrana. La presenza del Papa, come testimone inimitabile della fede in Gesù Cristo, mantiene ciò che promette, realizza il cambiamento dell’intelligenza e del cuore dell’uomo, e perciò pone le condizioni, come ha detto il Santo Padre, per cambiare anche le strutture del mondo.
La fede in Cristo affonda qui le sue radici in una storia che si può propriamente definire una storia benedetta. Questa fede ha creato e custodito la cultura del popolo, e per essa ha potuto realizzare quella che Giovanni Paolo II ha chiamato «la civiltà della verità e dell’amore». Non una vicenda astrattamente ideale, ma reale, storica, in cui le vicende della vita personale, familiare, dei gruppi, delle etnie, vissute e affrontate nella «radicalità» della fede, hanno forgiato un’esperienza di positività ultima della vita.
In questa terra, per secoli, la fede ha cantato il suo gloria a Dio attraverso una straordinaria esperienza estetica – quella delle infinite espressioni dell’arte popolare cristiana che gremiscono le nostre chiese, le nostre case, le nostre piazze; che accompagnavano, con la compagnia quotidiana del volto della Madonna, il cammino del viandante. Anche nelle circostanze negative, anche nelle lunghe stagioni di guerra e di fame, la vita di ogni giorno è così diventata un inno, un inno della vita quotidiana al senso più profondo di essa.
Ma la ragione, l’intelletto, la conoscenza, la capacità di manipolazione della realtà – in una parola, la cultura di questo popolo, è oggi largamente soggetta alla mentalità dominante. A quella mentalità per la quale l’unica risorsa che l’uomo ha per affrontare la sua vita è se stesso, la sua intelligenza, i suoi progetti, le sue capacità tecnologico-scientifiche.
Il Papa è entrato di schianto dentro questo dualismo tra una fede sentimentale e una ragione sostanzialmente atea per richiamare, in modo amabile ma vigoroso, che la fede è il fondamento unico di tutta la vita dell’uomo, e di questo fondamento l’uomo è chiamato ad assumersi, in prima persona, tutta la responsabilità. Quest’appello chiama l’uomo a vivere la tradizione non semplicemente come un dato sentimentale del passato, ma come un’esperienza che unifica la persona ora e le dà motivazioni per vivere, per lavorare, per soffrire, per lottare, per morire.
Il popolo di San Marino e del Montefeltro ha accolto con un crescendo di entusiasmo la presenza di un Papa che ha richiamato come presente ciò che la maggior parte riteneva al massimo un passato, per quanto dignitoso, ma pur sempre un passato. Agli adulti come ai giovani, Papa Benedetto ha riproposto l’avvenimento nella fede come appartenenza e sequela della Chiesa, come comunione vissuta, come cultura che nasce dalla fede, come carità che sgorga dal cuore stesso di Dio, come il grande evento da vivere, oggi, per sé e per il mondo.
Nei suoi interventi alla comunità politica – e penso al discorso rivolto ai Capitani Reggenti – ha indicato le vie di quella che ha chiamato una «sana laicità»: l’impegno solidale di uomini che vivendo fino in fondo la propria identità culturale e religiosa, sanno creare uno spazio sociale nel quale i diritti sono reciprocamente riconosciuti e attivati. Solo così la realtà sociale viene investita da una capacità di dialogo, di confronto e di collaborazione che rende possibile il perseguimento del bene comune, che è il bene della concreta società.
Ai giovani, il Papa ha dettato la via per un’impresa nuova. Vivere il cristianesimo come cammino di appartenenza e di obbedienza reciproca nel mistero di Cristo e della Chiesa, rende finalmente i giovani, all’opposto di quello che i mass-media propongono come modello, protagonisti della loro propria vita.
L’evento di grazia, irripetibile, di quest’ultima domenica della Trinità ha segnato in maniera indelebile la vita di un popolo. Occorre seguirlo, certi che Cristo – come ha detto il Pontefice – «è la Parola definitiva pronunciata sulla nostra storia».