Mercoledì scorso, contrariamente a quanto auspicato dal Governo tedesco, il Parlamento europeo ha profondamente modificato la normativa sul cosiddetto “two-pack”, un insieme di misure che rafforzano la disciplina di bilancio dei paesi dell’Unione europea. Grazie al voto decisivo della delegazione italiana nel Ppe sono stati infatti introdotti due emendamenti per la creazione del “Redemptipon fund”, un fondo che assorbirebbe il debito in eccesso degli “stati cicala”, e che spingono la Commissione di Bruxelles a presentare una tabella di marcia verso gli Eurobond.
Non si tratta purtroppo di misure esecutive, tuttavia il valore simbolico e di persuasione che possono avere nei confronti dei governi in vista del prossimo Consiglio europeo non è da sottovalutare. È un dato di fatto che siamo in grado di interrompere l’egemonia tedesca: se la Merkel non ci sta a cambiare schema di gioco, allora facciamo senza di lei e la costringiamo ad adeguarsi.
Mario Monti, nella riunione di Bruxelles della prossima settimana, nel formulare le annunciate richieste orientate alla crescita, potrà dire alla Cancelliera che dalla sua parte c’è il Parlamento europeo, non solo quello italiano. Nelle piazze e nelle strade d’Europa siamo divisi esattamente come nell’aula del Parlamento europeo, con la differenza che nelle piazze e nelle strade d’Europa coloro che non credono nell’Europa aumentano di giorno in giorno. Ma non aumentano per quanto sono bravi gli euroscettici nella loro propaganda, aumentano per come sono insipienti e mancanti di consapevolezza coloro che nell’Europa dicono di credere.
Se il Consiglio del 28 e del 29 giugno mostrerà analoga mancanza di consapevolezza, noi daremo un colpo definitivo alla credibilità di tutti coloro che scommettono sul successo del progetto europeo. I dirigenti delle istituzioni europee e i dirigenti dei paesi membri si trovano a un bivio e devono assumersi un’enorme responsabilità. Noi rischiamo, in pochi giorni, di dissipare un patrimonio di pace e di sviluppo che hanno caratterizzato la nostra storia.
L’esito di questo modo di procedere e di intendere la propria responsabilità sarà nel tempo il conflitto tra i nostri paesi. Non manca molto infatti al giorno in cui la collaborazione e la solidarietà tra gli Stati membri si trasformeranno in risentimento e forse anche in odio. Questo è il nostro destino in caso di crollo del progetto europeo.
È opportuno che tutti quanti comprendano che il 28 e il 29 giugno non sono una data come le altre. È il momento di aprire gli occhi e di rendersi conto della mancanza di visione per il presente e per il futuro che ci ha caratterizzato finora. È bene comprendere che il tempo è scaduto e che il tempo della politica delle istituzioni Ue e degli Stati non corrisponde più ai tempi della realtà.
I Governi, durante il prossimo Consiglio devono intensificare i propri sforzi per la coesione e la solidarietà, ma è anche il momento di definire una chiara agenda per la crescita. Occorre garantire gli investimenti che porteranno a nuovi posti di lavoro. Dobbiamo rafforzare il progetto in maniera strutturale. È l’ultima chiamata, senza decisioni su condivisione del debito, unione bancaria e project bond consegneremo l’estate alla speculazione. E a settembre raccoglieremo solo le macerie.