Cosa farà Israele?

La tensione è altissima, serve quindi il contributo diplomatico di tutti, soprattutto di chi ritiene di essere stato oltraggiato dall’attacco israeliano

Subito dopo l’attacco armato da parte della marina israeliana alla flotta umanitaria che era diretta verso Gaza, l’Unione Europea ha sollecitato un’inchiesta accurata esortando Israele a consentire il libero fluire degli aiuti umanitari verso la Striscia di Gaza.

 

Parole di condanna sono arrivate dal Presidente del Parlamento europeo, Jerzy Buzek, il quale ritiene che si sia trattato di ‘‘un attacco ingiustificato’’ che rappresenta ‘‘una violazione chiara e inaccettabile del diritto internazionale’’. Buzek ha inoltre chiesto a Israele di ‘‘spiegare le sue azioni immediatamente, cooperando con un’eventuale inchiesta.

Il Parlamento europeo sollecita l’Alto rappresentante Ue Catherine Ashton a prendere iniziative all’interno del Quartetto (Ue, Usa, Russia e Onu ndr) per costringere Israele a togliere il blocco alla gente di Gaza immediatamente e senza condizioni.

Bisognerà aspettare qualche tempo prima di capire fino in fondo quali siano le reali responsabilità di Israele e soprattutto quali siano le motivazioni di un atto di rappresaglia con pochi precedenti nella storia.

Perché i soldati israeliani hanno reagito così violentemente? Qual’era l’intento delle sei imbarcazioni della flotta internazionale di attivisti pro palestinesi? Cosa c’era a bordo? Il sottile equilibrio internazionale richiede che questi accertamenti vengano effettuati nel più breve tempo possibile, ma anche con la massima imparzialità e cautela.

Quello di cui siamo certi è lo sconcerto di tutti nell’apprendere della morte di 19 persone. Come accadde circa un anno e mezzo fa quando Israele reagì in maniera veemente al lancio di missili da parte di Hamas, anche oggi prevale il dolore per la morte di donne e uomini innocenti.

Se contro la violenza usi la violenza si fa doppia violenza. Male più male uguale doppio male. Ci vuole il doppio di bene per arginare il male”. Questa frase di Don Andrea Santoro, il prete italiano ucciso qualche anno fa in Turchia, raffigura in modo molto chiaro il perché la cosiddetta “strategia della rappresaglia” non possa alla lunga costituire un metodo efficace di risoluzione dei conflitti internazionali.

A maggior ragione quando si è consapevoli che dietro l’angolo c’è sempre un gruppo di fondamentalisti che è pronto a scatenare il proprio odio omicida contro il “nemico sionista”. A questo proposito non si sono fatte attendere le minacce di ritorsione pronunciate da alcuni esponenti di Hamas in merito a possibili azioni contro le ambasciate di Israele nel mondo.

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La tensione è altissima, serve quindi il contributo diplomatico di tutti, soprattutto di chi ritiene di essere stato oltraggiato dall’attacco israeliano, come il Governo turco e quello greco. Ankara, in modo particolare, si trova in difficoltà perché deve rendere conto a un popolo in maggioranza musulmano e naturalmente ostile a Israele.

 

Tuttavia, come ha sottolineato il nostro Ministro degli esteri Frattini, “una cosa che non si deve fare è lasciarsi prendere dalla tentazione di far saltare il tavolo negoziale. È chiaro che questo sarebbe una tragedia egualmente grave rispetto alla morte di civili: il dialogo deve continuare, la pace in Medio Oriente si deve fare”.

 

Israele per primo deve dimostrare di avere a cuore la pace. La pace del proprio popolo e di quello palestinese. Una pace che significa molto per il futuro dei rapporti tra Oriente e Occidente, ma soprattutto una pace che è ormai diventata il simbolo della speranza di un bene possibile perseguita da ogni uomo su questa terra.

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