Una bomba sotto casa e la Porta della misericordia

Mosca si sveglia con una ferita in più. Una bomba esplosa alla fermata di un autobus. C'è chi confida nello Stato. Qualcun altro, nella misericordia di Dio. GIOVANNA PARRAVICINI

In via Pokrovka a Mosca, a 100 metri dal nostro Centro culturale, lunedì sera qualcuno ha gettato una bomba artigianale, forse una granata, alla fermata del filobus. Il bilancio è di 4 feriti, per fortuna non gravi, ma quel che resta nell’aria è lo sconcerto, l’insicurezza, l’assurdità che sembra sempre più di casa, ti raggiunge fin sotto casa, ti costringe a chiederti il senso di cose che fino a ieri facevi meccanicamente, come attraversare la strada, prendere il filobus.

Le notizie nella notte sono corse frenetiche (messaggi, telefonate, grazie a Dio il Centro non ha riportato danni…), e all’indomani mattina — la mattina dell’apertura della Porta della misericordia — Mosca si è risvegliata come ogni giorno: solo con una ferita in più, l’area dell’esplosione blindata e presidiata dalla polizia, gli inquirenti a caccia di indizi nelle case e negozi della zona adiacente. Chiusure, restrizioni: diventa sempre di più il modo normale di difendersi, di scacciare le paure e anche le domande scomode.

Arrivata in ufficio, getto uno sguardo alla strada sottostante deserta, con poco più in là auto della polizia e agenti al lavoro, qualche passante incuriosito: nessuno si immagina che l’8 dicembre sia festa, che in questa giornata da qualche parte nel mondo stia aprendosi una “Porta della misericordia”; anzi, se dovessi chiedere a qualcuno là fuori che cos’è la misericordia probabilmente mi guarderebbe pensando all’elemosina da fare ai mendicanti sulla soglia delle chiese o nel metrò. Per il rimanente — purtroppo non fa eccezione neppure una vistosa parte della struttura ecclesiastica ortodossa — vale il criterio di una difesa a oltranza che assume spesso connotati di violenza e aggressività: è di oggi, su Ria Novosti, la notizia di una richiesta alla Duma di bollare come «agenti stranieri», dopo le Ong, anche le organizzazioni religiose che abbiano il proprio centro all’estero. Ai tempi dell’Urss i cattolici erano «agenti del Vaticano», e oggi, a ben pensarci, Papa Francesco che predica il perdono a oltranza è un bel sovvertitore dell’ordine pubblico! E anche il Regno di Dio — ha  commentato un amico ortodosso — «non è di questo mondo»… Lo classifichiamo come «agente straniero»?

L’autore della proposta è il vicepresidente del Dipartimento missionario del Patriarcato di Mosca, igumeno Serapion Mit’ko, che si batte contro la perniciosa influenza di sette e comunità religiose non tradizionali: ma, beninteso, senza usare le armi della fede, come se questa non avesse dalla sua alcuna forza di persuasione e d’azione. È molto più «sicuro» far leva sulla mano forte dello Stato e su intrighi internazionali veri o inventati: «Non riesco a immaginarmi — ha dichiarato Serapion — che un’organizzazione religiosa, il cui centro si trovi in un paese che svolge una politica dichiaratamente antirussa, si occupi unicamente di attività religiosa». 

Di questo passo, si arriva a rimpiangere le istituzioni sovietiche, quando lo «Stato regolamentava alcuni aspetti della vita religiosa. Si è sempre fatto in passato, e che questa sia una cosa inammissibile è solo un mito liberale dell’inizio degli anni 90, che ha dimostrato di non funzionare». Come non rendersi conto di quanto pericoloso sia per la Chiesa stessa e per la società il gioco in cui ci si sta invischiando, che spirale di violenza e di disumanità introduca?

Ma lo sconcerto condiviso da tanti, dagli stessi fedeli ortodossi, non può essere l’ultima parola. Papa Francesco propone una risposta radicale al male del mondo, non lo pesa per calcolare quanto deve pesare il rimedio, getta sull’altro piatto della bilancia l’infinito della misericordia di Dio. Ne è un simbolo l’ardire con cui ha trasformato in “Porta della misericordia” la porta di ogni cella di prigione, se solo il detenuto la varca «rivolgendo il pensiero e la preghiera al Padre». È un invito a ciascuno di noi a trasformare in “Porta della misericordia” la porta del cuore, per ospitarvi senza calcolo questa umanità smarrita, «”l’uomo perduto” di cui Dio è alla ricerca con tanta inquietudine, commozione, zelo», come ha scritto nella sua Lettera pastorale l’arcivescovo Paolo Pezzi. 

Domenica chi vorrà potrà partire proprio di qui, dal nostro Centro sulla Pokrovka, segno di amicizia e anche della ferita ancor fresca nel cuore della capitale, per andare in pellegrinaggio alla “Porta della misericordia” che si aprirà in cattedrale. Monsignor Pezzi ha insistito su questa dimensione esistenziale del pellegrinaggio, «da casa propria, dalla propria parrocchia, o anche per il tragitto di poche centinaia di metri dal metrò», perché «anche una strada che abbiamo fatto mille volte può diventare per noi un pellegrinaggio che compiamo insieme a tutta la Chiesa incontro al Padre misericordioso».

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