La decisione della Corte di Cassazione in materia matrimoniale conferma sostanzialmente quanto essa stessa, ma anche la Corte Costituzionale, avevano già deciso in passato. In sostanza, ribadiscono i giudici supremi, non esiste un obbligo di estensione alle coppie omosessuali del diritto al matrimonio, che per la nostra Costituzione e per la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo è riservato alle coppie eterosessuali; esistono invece anche per tali coppie quei diritti e quei doveri propri di tutte le altre coppie di fatto, tra cui tuttavia non è ricompreso il diritto a veder riconosciuta dall’Ufficiale di Stato Civile la propria relazione se questo non consegue ad un atto del legislatore.
La sentenza è coerente con i precedenti in materia. La Corte di Cassazione, infatti, in un passato non lontano, aveva preso una decisione analoga a quella odierna in merito alla trascrizione di matrimoni contratti all’estero da coppie omosessuali, anche se aveva esortato i giudici di merito a estendere in via giurisprudenziale a tali coppie i diritti che sono riconosciuti alle coppie di fatto; d’altro canto, sempre in quella sede, era stata ribadita la non idoneità alla trascrizione di detti matrimoni, non prevista dal nostro ordinamento.
Analoga la presa di posizione della Corte Costituzionale, nella nota sentenza 138 del 2010, secondo cui esistono diritti e doveri anche per le coppie omosessuali, fatti discendere però non dalle norme sul matrimonio e sulla famiglia (artt. 29 e seguenti) bensì dalla clausola generale dell’art. 2 della Costituzione, in base alla quale la Repubblica riconosce e garantisce i diritti dell’uomo e delle formazioni sociali, tra cui va annoverata anche la famiglia di fatto e le unioni di fatto tra persone dello stesso sesso.
E, infine, anche la Corte Europea dei diritti dell’uomo, posta a salvaguardia del rispetto della omologa Convenzione, aveva riconosciuto un margine di apprezzamento agli stati firmatari di detta Convenzione rispetto al potere di decidere se estendere o no il matrimonio anche a persone dello stesso sesso, benché avesse poi a sua volta riconosciuto che tali coppie devono essere tutelate e non discriminate in forza del loro diritto a condurre una vita familiare, estensione del diritto alla vita privata previsto dall’art. 12 della Convenzione in esame.
Letta alla luce di tutti questi precedenti (alcuni dei quali non sono in verità precedenti in senso tecnico ma sentenze emanate da altre giurisdizioni, diverse da quella nazionale, che pure in molti casi le richiama in modo informale), la presente sentenza costituisce un semplice richiamo ad una norma fondamentale per l’esercizio della funzione giurisdizionale, quella secondo cui si può — talvolta — ricorrere all’interpretazione estensiva nell’applicare i testi costituzionali e i trattati internazionali ma senza invadere il campo proprio del legislatore, che è quello di stabilire tramite una legge dello Stato, atto generale e astratto, quali sono i diritti e i doveri dei cittadini.
In concreto, è evidente da tutti questi casi una spinta, un richiamo a riconoscere un fatto sociale diffuso quali sono le coppie omosessuali senza tuttavia giungere al riconoscimento formale delle stesse analogo a quello che potrebbe conseguire da una precisa presa di posizione del legislatore. Al legislatore spetta dunque, in ultima analisi, la scelta relativa al conferimento di uno status di natura pubblicistica a tali coppie mentre al potere giudiziario spetta riconoscere, caso per caso, diritti e doveri relativi al caso singolo, nella vita concreta.
Una linea non facile da tracciare e da rispettare ma che, in questo caso, ha visto il prevalere di scelte prudenti, attente ad un contesto in cui è necessario che il legislatore, la politica e i partiti si esprimano e, dopo essersi espressi, rispondano all’elettorato delle loro prese di posizione.