Benvenuto, ladrone, in Cielo

Il Giubileo dei Carcerati novella reinterpretazione della pagina de "I Fioretti" di Tommaso da Celano. Avverrà domenica, in piazza San Pietro. L'editoriale di MARCO POZZA

Col suo nome volle che il mondo tutto sapesse di che pasta era fatto il suo pontificato. Fattosi chiamare Francesco — prendendo a prestito la stravagante avventura del giullare d’Assisi — di quel giovane infiammato ne sposa tutt’oggi stile, sembianze. Francesco, il celebre protagonista di una delle più ardite sfide della catechetica cristiana: quella d’evangelizzazione di un lupo. A Gubbio: “Al tempo che santo Francesco dimorava nella città d’Agobbio, nel contado apparì un lupo grandissimo, terribile e feroce, il quale non solamente divorava gli animale, ma eziando gli uomini; in tanto che tutti i cittadini stavano in gran paura, però che spesso s’appressava alla città”. 

La Basilica di Pietro gemellata con la città di Gubbio: il Giubileo dei Carcerati novella reinterpretazione della pagina de I Fioretti di Tommaso da Celano. Francesco, papa, come Francesco, il santo giullare: “Venite a me voi tutti che siete carcerati — oppressi e oppressori — io vi darò casa”. Una basilica, il cuore della cristianità, come casa e cagione d’incontro tra Dio e l’uomo. Tra miseria e misericordia: “Io voglio, frate lupo, far la pace fra te e costoro, sicché tu non gli offenda più, ed egli ti perdonino ogni passata offesa, e né li uomini né li cani ti perseguitino più”. Come la madre ch’è sempre disposta a riaccendere la pace tra due figli in bisticcio-pasticcio tra loro.

L’invito porta la data d’inizio giubileo. Erano nel cuore del Papa già nell’ora prima dell’annuncio: “(I detenuti) ogni volta che passeranno per la porta della loro cella, rivolgendo il pensiero e la preghiera al Padre, possa questo gesto significare per loro il passaggio della Porta Santa”. Ch’era l’annunciazione del frate alla belva: “Io ti comando nel nome di Gesù Cristo, che tu venga ora meco senza dubitare di nulla, e andiamo a firmare questa pace al nome di Dio”. 

I lupi fan paura, i detenuti anche: mettere pace nei loro cuori è rimettere nella pace l’intera società. Loro l’hanno tradita facendo del male, ch’è sempre una brutta e agitata faccenda: la loro droga quotidiana. Vite-drogate dentro cui Francesco scorge traccia del riguardo di Dio: vite-graziate, dunque. Ecco la misericordia di cui abbisogna il lupo: una voce che torni ad insegnargli come coniugare i verbi al tempo futuro, il tempo della speranza. Il male è un verbo al passato, quello remoto: “L’uomo peccò”. La grazia, parente prossima di clemenza, è un verbo al futuro-semplice: “L’uomo risorgerà”. Tra i due, tutto un lavoro di rammendo e di riparazione della memoria, di verbi coniugati al tempo presente, quello della galera: “Il tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,3). Mica svendita totale: è il caso serio della risurrezione. 

Dalla foresta al contado di Gubbio, dalla cella di galera alla Città Eterna: “Vieni qui, frate lupo, ti comando dalla parte di Cristo che tu non facci male né a me né a persona”. Anche il contrario: “Udite, fratelli miei: frate lupo che è qui dinanzi da voi, si m’ha promesso, e fattomene fede, di far pace con voi e di non offendervi mai in cosa nessuna, voi gli promettete ogni dì le cose necessarie”. I galeotti non fan più paura, se li amate: la traduzione è di un papa-francescano. Ad arricchirsi, stavolta come allora, è l’intera cittadinanza: accertarsi che nessun errore è mai più grande di chi lo firma, è alzarsi la mattina mettendo in conto di poter sbagliare. 

Per chi sbaglia, ieri come oggi, varrà la pena non ripetere il vile peccato di Giuda: convincersi che il male fatto superi in altezza la capacità della misericordia divina. Chi crede, creda al finale di frate Tommaso: “Il lupo vivette due anni in Agobbio, ed entravasi dimesticamente per le case a uscio a uscio”. Senza arrecare male, senza che nessuno gli arrecasse del male. Tutti attori protagonisti nello spettacolo più eccitante, quello dell’amore che perdona senza scusare il male fatto: «Dopo due anni frate lupo si morì di vecchiaia, di che li cittadini molto si dolsono». Si dolsero perché il lupo s’era fatto presenza intima: benvenuto, ladrone, in Cielo. A Dio un atto buono basta: s’attaccherà a quello.

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