Finalmente un’idea. Quella lucidamente espressa due giorni fa da Marcello Pera circa un’Assemblea Costituente per rimettere in sesto la piattaforma della nostra convivenza civile è proposta che merita discussioni, passione, operatività. La nostra crisi, lo abbiamo detto tante volte, è degna della stessa dedizione che consentì all’Italia di rinascere nel Dopoguerra. Chi non capisce questo si consegna all’agonia diffusa. Il simbolo di quella fase storica che vide un “tipo umano” scrollarsi di dosso le macerie e le follie del passato e rimettersi in gioco a tutti i livelli, fu proprio l’Assemblea Costituente dove confluirono movimenti ideali, passioni politiche, nobili compromessi istituzionali: fu una grandiosa esperienza, non tanto dissimile dal processo che portò in quella medesima epoca alla stesura della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Ora abbiamo bisogno della stessa forza, della stessa urgenza. Quella Costituzione, la nostra Costituzione, non fu un disegno astrattamente composto nei palazzi del potere e poi calato sulla società, ma nacque dal vibrare di un Paese che rinasceva.
Si può rinascere da vecchi? Oggi siamo troppo vecchi e stanchi e immobili per rinascere? L’idea del senatore Pera è da prendere sul serio (e per questo dissento garbatamente ma fermamente da Lorenza Violini che ne ha scritto ieri sul Sussidiario) proprio perché reagisce alla rassegnazione e alle inerti parole che affiorano ogni tanto dai titoli dei giornali: semipresidenzialismo, semifederalismo, semiparlamentarismo, semistatalismo. Tutto un semi-qualcosa, un fare a metà, un dire senza agire, un proclamare senza volere. L’immobilismo, appunto.
Una Costituente: un coagulo di idealità vitali, di pensiero forte, di immaginazione presente. Certo, questo non è più il tempo delle grandi coralità sociali, come i movimenti cattolici e socialisti del secolo scorso che furono capaci di dialogo e accordo tra loro e con un certo pensiero liberale; è semmai il tempo delle persone, il tempo di un “io” relazionale, il tempo di esperienze che sono più reticolari e basiche. Ma esiste certamente il modo legittimo per coalizzare le forze vive indipendenti e gratuite di tante singolarità e di tanti corpi intermedi in un processo di rigenerazione costituzionale (ecco un suggerimento che mi permetto di avanzare all’Intergruppo per la Sussidiarietà: trovare questo modo).
Ci saranno mille tecnicalità cui prestare attenzione, certo, e procedure e passaggi. Ma l’Italia che reagisce all’agonia, che non si svende, che ogni giorno porta il suo contributo al bene comune, ha bisogno di uno scarto, di un colpo di vitalità politica e istituzionale. L’hanno capito persone sagge come il presidente Napolitano, che ha accennato ai “trent’anni di riforme costituzionali abortite” e Luciano Violante che dissentendo dalla forma di una Costituente (poiché ritiene che la prima parte della Costituzione vada mantenuta intatta), opta per una Commissione esterna alle Camere “con il compito di redigere un progetto per la nuova forma di governo e la nuova forma di Stato”.
Ma insomma il tema-guida di una nuova stagione c’è, con le varianti e i distinguo del caso. Uno stupendo lavoro per fondazioni, think tank, giuristi e appassionati alla respublica in genere. Sarebbe anche un impegno serio per i partiti, o per quel che ne rimane, ma lasciamo stare.
È un peccato che i nostri politici non si precipitino a coltivare il seme gettato nel deserto. La Costituente, o qualcosa di simile, è una occasione colossale e unica di riscatto. Forse non sentono la drammaticità della situazione, forse sperano nelle scorciatoie della cosmesi e della chirurgia plastica. E invece investono energie spaventose per giocare alla Rai e si dannano per tutelare i micropoteri propri e delle lobbies di riferimento. Purtroppo in buona parte credono che il luogo della politica siano i media. Ne sono intrappolati come Truman nel suo show: “sai, se non appaio non esisto” ti dicono con lo sconcertante candore di un’attricetta in posa sulla spiaggia di Cannes. E per questo agognano dieci secondi nel tg o ingaggiano furibondi corpo a corpo con i giornali che li mettono sotto pressione (in modo gaglioffo, ça va sans dire). Ma il luogo della politica è la polis, la città. E la forma veramente moderna della politica è il rapporto di un “io” con un altro “io”, con altri “io”: disintermediando, come si usa dire con una parola molto di moda. La crisi ci offre così una reale chance per “una nuova generazione di politici”, secondo la celebre frase di Benedetto XVI che è bello interpretare non tanto come l’auspicio di una nuova classe di politici (magari più giovani o più ben educati o più solidi) ma soprattutto come un nuovo modo di concepire e dare alla luce i politici e la politica.