All’interno di un lungo articolo in difesa della – a suo dire – troppo maltrattata tecnica, il professor Edoardo Boncinelli scrive questa interessante osservazione: «L’uomo vede il mondo come tutti gli altri [animali], ma lo interpreta in maniera assai originale, scorgendo un potenziale strumento in un ciottolo o in un osso. Sembra che il suo scopo sia quello di cambiare il mondo – cose, animali, persone – come se quello che trova non lo soddisfacesse, o fosse “incompleto”. Tutto ciò lo porta con il tempo a dominare un mondo che ormai reca sempre più spesso tracce del suo passaggio» (Corriere della Sera, La Lettura, 13 dicembre 2015, p. 2). Ne traggo tre riflessioni in forma di domanda.
Anzitutto mi sembra assolutamente necessario chiedersi come mai nell’uomo ci sia questa straordinaria e unica capacità di «cambiare il mondo» e da dove essa derivi. Più radicalmente: come mai – pur dopo aver appagato i suoi bisogni primari: nutrirsi e perpetuare la specie procreando – l’essere umano non si sente con ciò ancora «soddisfatto»? Come mai, anzi, proprio allora percepisce più acutamente e drammaticamente il suo stato di «incompletezza»? Se lo chiedeva dolorosamente il leopardiano «pastore errante dell’Asia» paragonandosi al suo gregge tranquillamente disteso a ruminare. Non c’è niente da fare: l’uomo, «animale simbolico», come ricorda Boncinelli, è anche «religioso».
La seconda domanda entra nel merito dello stupefacente progresso che l’umanità ha fatto da quando, scrive ancora lo scienziato, «un po’ più di tre milioni di anni fa alcuni nostri antenati hanno scheggiato di proposito alcune pietre, probabilmente ciottoli di fiume, per potersene servire». Personalmente sono ben contento di questo sviluppo e non mi accodo al coro dei laudatori del passato; penso che la mail sia più efficace della posta, l’aereo sia più comodo del calesse e comperare roba da cucinare al supermercato sia meglio che procacciarsela col ciottolo di fiume scheggiato. Ciò nonostante, non mi sembrerebbe corretto evitare una domanda che va a scavare un po’ più in profondità: questo benemerito sviluppo ha davvero reso me – non una generica umanità, ma ogni singolo essere umano, ogni persona – meno «incompleto»? Rispondere troppo sbrigativamente di sì è ingannevole.
Del resto anche a livello complessivo di genere umano, occorre constatare che il fenomeno dello sviluppo non è senza ombre; il mio antenato che ha scheggiato il famoso ciottolo «per servirsene», magari, l’ha fatto per ammazzare un rivale in amore che, a mani nude, sarebbe stato più forte di lui. È del tutto evidente che i prodigiosi mezzi che la crescita ci mette a disposizione possono produrre – anche – esiti nefasti per noi, per gli altri, per la natura. Come mai dunque – terza domanda – è nell’uomo questa terribile capacità? Da dove gli arriva l’oscura volontà di nuocere?
Evitare la scomodità di queste domande coincide con l’inquinare il progresso tecnico; perché esso procederebbe automaticamente, senza lo specifico umano e quindi, ultimamente, contro di esso.