Dai due missili Scud lanciati da Gheddafi nell’aprile 1986 sull’isola di Lampedusa, agli Scud che l’Isis ha minacciato di lanciare su Roma, il passo è breve. I primi due (che peraltro molte fonti dell’esercito italiano nel corso degli anni hanno messo in dubbio fossero mai esistiti) furono la ritorsione libica contro i bombardamenti americani su Tripoli, a loro volta ritorsione per un attentato contro una discoteca di Berlino in cui morirono diversi soldati americani. Oggi invece siamo all’arrivo dei miliziani del califfato islamico sulle spiagge del Mediterraneo. Come hanno detto loro stessi nel video in cui tagliano la testa a 21 cristiani copti egiziani in Libia, Isis è ormai “a Sud di Roma”.
Uno scenario impensabile fino a pochissimo tempo fa, mentre il terrorismo di matrice islamica continua a colpire il cuore dell’Europa: dopo Parigi, Copenaghen. I cosiddetti “cani sciolti” in giro per le strade delle capitali europee sono pronti a colpire ovunque e comunque.
Non è difficile risalire alle ragioni di questa escalation di violenza e di guerra. Le colpe dell’occidente sono tantissime: biechi interessi economici, ignoranza dei fattori sociali, religiosi e culturali in gioco, con la convinzione da parte dei neo-con e dei liberal (non solo americani ma anche nostrani) della necessità delle guerre per impiantare la democrazia.
George W. Bush padre nel 1991 decise di invadere l’Iraq contro il parere del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e Bush figlio lo invase di nuovo nel 2003 sulla base di prove, costruite ad arte e rivelatesi false, che Saddam avesse armi di distruzione di massa. Giovanni Paolo II, preoccupato per la vita delle popolazioni del Medio Oriente, stava trattando l’abbandono pacifico del potere di Saddam Hussein con il vice primo ministro iracheno Tarek Aziz, ma fu snobbato.
Sappiamo cosa successe poi: il disfacimento del paese, anarchia, terrorismo, persecuzioni. Per l’ideologia dell’esportazione violenta della democrazia, dopo aver favorito l’ascesa al potere dei Fratelli musulmani in Egitto, l’amministrazione americana, con la sua ben nota mancanza di una politica mediterranea, ha lasciato che Sarkozy (che aveva forti interessi “petroliferi”) e Cameron eliminassero Gheddafi lasciando la Libia in un caos prevedibile, in mano a bande armate, fondamentalisti, scafisti e adesso ai tagliagole di Isis. Nessuno oggi chiede conto all’ex presidente francese delle migliaia di morti e degli esodi di massa a cui assistiamo, così come nessuno chiede conto a Cameron che si sta tirando fuori da ogni impegno concreto.
Insieme a tutto questo c’è stato il sostegno del mondo occidentale a chi si ribellava contro il presidente siriano Assad, una rivolta ben presto manipolata e strumentalizzata dai futuri miliziani dello stato islamico senza che alcun leader occidentale se ne rendesse conto, arrivando all’assurda minaccia di guerra di Obama, che avrebbe di fatto favorito i miliziani di Isis se messa in atto.
Giovanni Paolo II con parole drammatiche e profetiche aveva a suo tempo messo in guardia dal rischio di sconvolgere il già precario “equilibrio dell’intera regione Mediorientale” e degli “estremismi che potrebbero derivare” dall’invasione dell’Iraq. Questi estremismi sono venuti allo scoperto e adesso minacciano l’Europa a poche centinaia di chilometri di distanza. Giovanni Paolo II aveva una visione drammaticamente realista e concreta di quello che stava per succedere quando denunciava che la guerra in Iraq sarebbe stata foriera di ulteriori conflitti e squilibri dal contenuto sanguinario, e che la caduta di regimi dittatoriali non avrebbe portato alla nascita di alcuna democrazia ma di altri totalitarismi probabilmente più pericolosi e incontrollabili. La stessa linea di papa Francesco che con la decisa presa di posizione e mobilitazione delle coscienze, il cui apice è stato il momento di preghiera mondiale per la pace, ha contribuito a scongiurare l’intervento americano in Siria.
Questa linea comune dei pontefici non è la giustificazione dei dittatori, ma la convinzione, suffragata dai fatti che, come accadde per la caduta del Muro di Berlino nel 1989, la via del dialogo, della diplomazia e dell’educazione alla pace è molto più proficua e duratura. Non si tratta soltanto della linea “cattolica”, ma di una considerazione molto razionale comune al mondo musulmano più lungimirante, come è stato documentato nella mostra del Meeting di Rimini 2014 sui martiri di piazza Tahir, giovani musulmani che hanno dato la vita per salvare loro coetanei copti.
Per quanto la situazione sia drammaticamente lacerata, colpisce come la trascuratezza di una tensione educativa, che miri a una coscienza critica della propria identità, unisca mondo occidentale e mondo arabo.
Anche se largamente ignorate dai media, hanno colpito nei giorni scorsi le parole (non è la prima volta) della regina Rania di Giordania. Come è possibile che il mondo arabo sia giunto a questi estremismi, si è chiesta in un discorso televisivo, e come possono i musulmani recuperare le radici della loro religione? Riconoscendo quella che è una autentica “emergenza educativa” in atto, solo con politiche “educative” adeguate da parte del mondo arabo, ha aggiunto, è possibile uscire da questo impasse.
Su un piano simile si è posto l’attuale presidente egiziano Al Sisi. Figura per molti versi controversa che però, davanti alle massime autorità religiose riunite all’università Al-Azhar del Cairo, qualche settimana fa ha toccato il tema della religione ridotta a ideologia in modo lucido e coraggioso: “Mi rivolgo agli studiosi della religione e alle autorità religiose. Dobbiamo rivolgere uno sguardo attento e lucido alla situazione attuale. E’ inconcepibile che l’ideologia che noi santifichiamo faccia della nostra intera nazione una fonte di preoccupazione, pericolo, morte e distruzione nel mondo intero.
Non mi riferisco alla “religione” bensì alla “ideologia” — il corpo di idee e di testi che abbiamo santificato nel corso di secoli, al punto che rimetterli in discussione diventa difficile. Abbiamo raggiunto il punto in cui questa ideologia è ostile al mondo intero. Non potete vedere le cose con chiarezza quando siete imprigionati in questa ideologia. Dovete opporvi a questa ideologia con determinazione. Abbiamo bisogno di rivoluzionare la nostra religione… La nazione islamica è lacerata, distrutta, avviata alla rovina. Noi stessi la stiamo conducendo alla rovina”.
E allora ben venga un’operazione di peacekeeping dell’Onu, che si auspica finalmente unito di fronte a barbarie che, dalla Nigeria a tutto il Nord Africa e al Medio Oriente, minacciano la vita quotidiana, l’esperienza religiosa, il percorso verso lo sviluppo, culturale e economico, di tante persone pacifiche ed operose. Ma non dimentichiamo che, come si diceva ai tempi del Muro di Berlino, solo un continuo impegno educativo che abbia a tema la ricerca della verità e la coscienza critica della propria identità può portare alla pace.