Scettico? No, grazie

Il ritorno allo scetticismo. Si tratta, in fondo, di un certo buon senso per cui ci si rassegna a non rincorre un impossibile "sapere infallibile". PIGI COLOGNESI

La bella fotografia di manifestanti a favore dell’indipendenza catalana che corrono per le strade innalzando la loro coloratissima bandiera ha fatto il giro dei social e delle redazioni dei giornali; qualcuno ha parlato di capolavoro degno di premi importanti; poi si è scoperto che quella bandiera — nella realtà — non c’era: si trattava di un ben riuscito fotomontaggio. E che dire quel poveretto che per ore è stato segnalato in mille siti come l’autore della strage di Las Vegas? Era del tutto estraneo ai fatti, ma rimarrà a lungo bollato dall’infame accusa. Esempi della quotidiana valanga delle ornai celeberrime fake news.

Ovviamente il problema è come difendersene. Prescindendo dalle responsabilità dei grandi operatori della rete, ci si domanda come un normale utente debba comportarsi. L’inserto culturale del Corriere della Sera del primo ottobre suggeriva — sotto l’accattivante titolo “L’incertezza feconda” — il ritorno allo scetticismo. Si tratta, in fondo, di un certo buon senso per cui ci si rassegna a non rincorre un impossibile “sapere infallibile”. Impossibile anche per l’ultima istanza cui siamo spinti a dare incondizionata fiducia: la scienza; infatti “non sono proprio gli scienziati i primi ad ammettere che non possono garantire una certezza assoluta?”. Lo stesso Karl Popper, citato dal Corriere, diceva: “Quanto più impariamo sul mondo, e quanto più profondo è il nostro apprendimento, tanto più consapevole, specifica, articolata sarà la conoscenza di ciò che non sappiamo, la conoscenza della nostra ignoranza”.

Dunque affidiamoci al buon senso che valuta le probabilità, confronta le ipotesi, soppesa l’autorevolezza delle fonti, affidiamoci a un sano scetticismo: “In un mondo in cui la verità non s’impone da sola, l’unica soluzione è imparare a distinguere”; perché “solo chi è pronto a rimettere in discussione le proprie convinzioni potrà sperare di capirci qualcosa, solcando come un novello Ulisse il mare dell’ignoto”.

L’unica cosa che mi stona è la premessa — “la verità non si impone da sola” —, che stabilisce il filo diretto con lo scetticismo antico: “Non esiste in assoluto alcun criterio di verità; non il pensiero, non la sensazione, non la rappresentazione né alcun’altra delle cose che sono; infatti tutte queste cose in complesso ci ingannano” diceva lo scettico Carneade. Non intendo addentrarmi nella discussione filosofica, mi interessa solo il risvolto operativo che ognuno può facilmente — almeno a me capita — scoprire in sé. L’atteggiamento scettico è in fondo la rinuncia alla verità, la radicale sfiducia nella possibilità di raggiungerla (o che essa si mostri con evidenza). Ma perché mai, allora, dovrei solcare il mare dell’ignoto come un novello Ulisse? A Itaca in fondo mi sono sistemato abbastanza bene; che quello che leggo e ascolto sia vero o no o solo in parte mi riguarda relativamente; che sia amore o un’altra cosa magari legata a combinazioni chimiche ciò che provo per quella tal persona poco importa, tanto passa; se sia giusto o no che quel tizio che è approdato sulla spiaggia della mia isola provenendo da chissà dove stia morendo non lo so e comunque non mi riguarda. Perché mai dovrei lasciare il calduccio dl mio bozzolo e lanciarmi nell’oceano che è certamente pericoloso? Perché — risponde chi non è scettico — quell’oceano è “lo gran mar dell’essere”, così evidentemente “essere”, come me, che mette la voglia e la responsabilità di abbracciarlo tutto.

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