Le immagini che continuiamo a vedere in rete ci mostrano l’evidenza del male nella nostra vita. E non più solo nelle grandi tragedie collettive, come nella seconda metà del secolo scorso, quando l’occidente vide per la prima volta l’orrore dei lager, ma nella banalità della vita quotidiana. Abbiamo visto cose atroci, come la decapitazione di un uomo per strada. Ne vediamo di meschine, come la consegna delle banconote di una tangente. L’ultimo caso sono state le immagini degli inqualificabili maltrattamenti di due insegnanti verso un ragazzo autistico di Vicenza.
Io non credo che la nostra età sia più crudele di quelle che ci hanno preceduto. Forse non ci rendiamo conto di cosa voleva dire impalare un prigioniero o sterminare interi popoli o incarcerare a vita un parente scomodo. E del resto l’idea svaporata della crocifissione, frutto del pietismo, forse ci ha impedito di considerare davvero quali terribili violenze fisiche abbia patito lo stesso nostro Signore Gesù. La differenza è che noi tutti, oggi, senza difese, grazie al web, accediamo ad uno sterminato campionario di immagini di malvagità in atto. Non abbiamo bisogno della rete per sapere come sia fatto l’animo umano. I cattolici sanno bene come convivano in ciascuno vizio e virtù, grano e zizzania. Grandi e improvvisi slanci di bene con una vita intera di delitto. Oppure il contrario: tutta una vita proba con un gesto improvvisamente insano. Ma adesso, anche, lo “vediamo”.
Che differenza fa? Innanzitutto, attraverso le immagini che il web rende disponibili scopriamo risvolti impensabili: chi avrebbe potuto concepire una sequenza come quella registrata a Vicenza? (a proposito, ma se hanno registrato per quattro giorni, non potevano intervenire prima e porre fine ai maltrattamenti?). La possibilità di declinazione del male nella nostra vita di tutti i giorni è davvero sorprendente, quasi fosse una forma di nuovo adattamento evolutivo. Spaventa anche un po’ assistere alla fantasia del diavolo.
In secondo luogo ne siamo emotivamente colpiti, ma con un accento nuovo. Quella suscitata dall’immagine, ancor più se video, è una emotività particolare, che provoca scandalo, ma anche distacco. Assistere di persona al male, esservi presente, nei grandi santi ha generato carità, condivisione, non fredda condanna. Pensiamo a San Francesco o a Santa Rita. Invece sembra che questo continuo bombardamento di fotogrammi di piccole e grandi stanze dell’inferno ci renda sempre più cattivi.
Una prova è la reazione che la rete ha avuto al caso delle insegnanti di Vicenza, di cui si è detto sopra. Su Facebook sono state pubblicate le loro foto, quasi delle foto segnaletiche e si è scatenata una ridda di minacce ed insulti degni del peggiore processo sommario. Non è giusto. Certo, è terribilmente ingiusto ciò che loro hanno fatto. Certo, da una parte ci sono parole, dall’altra, sembra, mesi di maltrattamenti. Ma lo spettacolo ripetuto del male ci omologa in un acido cinismo. E’ uno scandalo che disimpegna, che distacca, proprio perché il male assomiglia tanto – soltanto! – ad uno spettacolo.
Nel Giulio Cesare di Shakespeare Bruto esclama: “Quante volte, a pubblico divago, dovrà ancora sanguinare questo Cesare!”. Siamo in un tempo in cui il sangue – il male – è mostrato a ripetizione come “pubblico divago”, ma ci lascia in fondo indifferenti. E’ lo stesso impotente smarrimento che descrive Pavese, in una frase che recentemente mi è stata ricordata: “…la notizia del male degli altri, del male meschino, fastidioso come mosche d’estate – quest’è il vivere che taglia le gambe”.